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I numeri iperreali¶
Introduzione¶
Questo testo è costruito partendo dal libro di Giorgio Goldoni “I numeri Iperreali”.
Sito di riferimento:
Pagina facebook: <www.facebook.com/pages/Il-professor-Apotema/344320422244703>
I libri del prof. Apotema: <ilmiolibro.kataweb.it/community.asp?id=104013>
Licenza¶
Tutti i materiali da me prodotti per questo corso sono rilasciati sotto la licenza Creative Commons: CC-BY-SA.
Problemi introduttivi all’uso degli infinitesimi e degli infiniti¶
Il calcolo infinitesimale fa uso di quantità infinitamente piccole, o infinitesime, e di quantità infinitamente grandi, o infinite. Dovremo quindi ricorrere a un insieme di numeri che comprenda numeri infinitesimi e numeri infiniti: i numeri iperreali. Prima di introdurre i numeri iperreali affrontiamo in modo informale alcuni problemi in modo da entrare nello spirito del calcolo infinitesimale.
Ascissa del vertice della parabola¶
Cominciamo da un problema molto semplice di cui conoscete già la soluzione:
Determinare l’ascissa del vertice
della parabola di equazione .
Per altre vie abbiamo imparato che l’ascissa del vertice è:
,
ma ora vogliamo provare a ottenere lo stesso risultato usando quantità
infinitesimali.
Supponiamo di poter usare quantità infinitamente piccole e di avere a disposizione un potentissimo microscopio col quale visualizzarle. Se puntiamo il nostro microscopio su un punto della parabola, ecco che il grafico risulta indistinguibile da un segmento rettilineo. Se puntiamo il microscopio in diversi punti del grafico, l’immagine al microscopio sarà quella di un segmento con una pendenza variabile.
La pendenza di un segmento nel piano cartesiano abituale è
data dal rapporto fra l’incremento delle ordinate e
l’incremento delle ascisse dei suoi estremi
,
Se il segmento è orizzontale, la sua pendenza è nulla,
cioè non vi è incremento di ordinate (
) e
infatti i valori di ordinata dei due estremi sono uguali.
Ma se immaginiamo di usare quantità infinitesime,
e quindi vediamo il segmento orizzontale grazie al microscopio,
potrebbe succedere di vedere il segmento orizzontale perché il
microscopio, mentre coglie l’incremento delle ascisse
non è così potente da riuscire a cogliere l’incremento delle
ordinate agli estremi.
In questo caso avremmo bisogno di un microscopio più potente
e allora diciamo che l’incremento infinitesimo in ordinata è
di ordine superiore rispetto a quello visualizzato in ascissa.
Il vertice della parabola è caratterizzato dal fatto di essere l’unico punto per il quale il microscopio ci mostra un segmento orizzontale. Usando il linguaggio precedente, questo significa che se ci spostiamo di un tratto infinitesimo dall’ascissa del vertice, allora la variazione di ordinata è un infinitesimo di ordine superiore allo spostamento infinitesimo in ascissa.
Traduciamo le considerazioni precedenti in un calcolo. Sia
un numero infinitesimo.
Calcoliamo ora la variazione di ordinata sulla parabola passando da
a
.
L’ordinata corrispondente a
è:
Poiché l’ordinata corrispondente a è
,
la variazione cercata è:
Ma è un infinitesimo di ordine superiore a
perché rapportato a
dà:
che è un infinitesimo. Dunque
è un infinitesimo anche
rispetto a
.
L’ascissa del vertice della parabola sarà allora quel numero
per il quale la variazione di ordinata,
,
conterrà soltanto il termine
.
Deve essere quindi
da cui:
.
Tangente a una parabola¶
Passiamo ora ad un altro problema: trovare l’equazione della retta tangente
alla parabola nel punto di ascissa
.
A volte per brevità viene definita la tangente come quella retta che ha in
comune con la curva un solo punto. Ma questa definizione non è soddisfacente
in generale. In certi casi una retta può essere tangente ad una curva in un
punto e intersecarla in altri punti.
Possiamo risolvere il problema con il metodo del fascio di rette:
troviamo le coordinate del punto
di tangenza:
scriviamo l’equazione del fascio di rette passanti per
:
Calcoliamo le intersezioni tra retta e parabola:
Sostituendo otteniamo l’equazione risolvente:
imponiamo che le intersezioni tra la generica retta del fascio e la parabola siano coincidenti cioè che l’equazione risolvente abbia le due soluzioni coincidenti cioè abbia il discriminante uguale a zero:
e quindi
quando
La retta tangente è quindi la retta del fascio che ha pendenza uguale a
cioè la retta di equazione:
Questo metodo funziona perché la parabola ha un’equazione di secondo grado.
Già per risolvere lo stesso problema con un’equazione di terzo grado,
ad esempio la cubica:
,
lo stesso metodo non funziona (perché?).
Definiamo come retta tangente ad un grafico di una funzione in un suo punto l’unica retta che, nel campo visivo di un microscopio che ci consente di vedere spostamenti infinitesimi, risulta indistinguibile dal grafico della funzione. In termini più precisi, si tratta dell’unica retta per la quale la differenza tra la sua ordinata e l’ordinata del grafico della funzione, calcolata per un valore di ascissa a distanza infinitesima dall’ascissa del punto di contatto, risulta essere un infinitesimo di ordine superiore all’incremento infinitesimo in ascissa.
Ma vediamo di fare il calcolo. Come già visto, una generica retta per il punto
ha equazione
.
Invece del punto di ascissa 3, consideriamo il
punto di ascissa
,
dove
,
è un numero infinitesimo.
Troviamo quanto vale l’ordinata della retta in quel punto.
Sostituiamo a
il valore
ottenendo:
E quanto vale l’ordinata della parabola in quel punto?:
.
La differenza delle ordinate vale allora:
che possiamo scrivere:
Imponendo che si annulli la parte dello stesso ordine di
quindi:
e
Il risultato è lo stesso ottenuto con l’altro metodo, ma qui non abbiamo utilizzato le equazioni di secondo grado e il discriminante. Questo metodo è più generale e si può applicare, ad esempio, anche alla ricerca di tangenti in parabole di grado superiore.
Possiamo rivedere il problema da un punto di vista leggermente diverso:
possiamo cercare la pendenza di una retta che passa per un punto della parabola
e per un altro punto (sempre della parabola) infinitamente vicino a questo.
Oltre al punto
consideriamo il punto
di ascissa
dove
è un infinitesimo.
L’ordinata di
è allora:
e la pendenza del segmento
è:
Ma l’unico numero reale a cui il numero
è infinitamente vicino è proprio
e ritroviamo così lo stesso valore.
Cerchio osculatore al vertice della parabola¶
La tangente è la retta che meglio approssima una curva in un suo punto. Il cerchio osculatore è la circonferenza che meglio approssima una curva in un suo punto.
Problema: trovare qual è la circonferenza che meglio approssima la parabola:
nel suo vertice.

Parabola e circonferenza passante per il vertice. La circonferenza ha centro sull’asse y e sull’asse del segmento OP.
Soluzione: dato che per individuare una circonferenza abbiamo bisogno di 3 punti,
dobbiamo considerare, oltre al punto dato, altri due punti infinitamente
vicini a questo.
Possiamo osservare che, per questioni di simmetria, il centro della
circonferenza starà sull’asse di simmetria della parabola.
Il centro della circonferenza sarà l’intersezione dell’asse del segmento
con l’asse
quando il punto
si avvicina infinitamente a al punto
.
Il punto
ha coordinate
il punto
ha ascissa
e ordinata

Ricerca del cerchio osculatore. percorre la parabola avvicinandosi alsuo vertice. Individua così una circonferenza di raggio progressivamente minore.
Dato che i punti dell’asse del segmento sono equidistanti dagli estremi,
l’equazione dell’asse sarà:
che diventa:
Spostando tutto a primo membro ed eliminando i termini opposti si ottiene:
L’intersezione con l’asse
si ottiene ponendo
quindi l’equazione diventa
da cui ricavo:
Il valore esatto dell’ordinata del centro è il numero reale che è
infinitamente vicino a questo “numero”.
Ma l’unico numero che è infinitamente vicino a
più un infinitesimo è proprio
Il centro del cerchio osculatore è quindi il punto
e il suo raggio è
per cui l’equazione della circonferenza è:
Questo può ricordarci che una porzione limitata di uno specchio sferico si comporta come uno specchio parabolico avente il fuoco a una distanza pari alla metà del raggio.
Riassumendo¶
Usando quantità “infinitesime” possiamo risolvere problemi che sappiamo già risolvere con metodi algebrici. Gli “infinitesimi” forniscono uno strumento più generale che ci permette di risolvere anche problemi che con il metodo algebrico non sapremmo affrontare. Gli “infinitesimi” sarebbero comodi, peccato che non sappiamo se esistono.
Esercizi¶
- Calcola la tangente ad una parabola cubica nel punto
.
- Calcola le tangenti alle curve:
,
,
,
,
, ... nel punto:
e confrontale tra di loro.
Altri problemi introduttivi¶
Area di un triangolo parabolico¶
Consideriamo la regione di piano compresa tra la parabola di equazione:
l’asse delle ascisse e una retta parallela all’asse delle ordinate, ad es.:
.
Chiamiamo triangolo parabolico questa regione e ci poniamo il problema di
calcolarne l’area.
Possiamo osservare che per
l’ordinata della parabola vale
quindi il triangolo parabolico è contenuto nel rettangolo di base
e altezza
.
Quindi possiamo effettuare una prima stima molto grossolana dell’area affermando
che deve essere minore di
.
Possiamo ridurre l’incertezza dividendo l’intervallo
in due parti uguali:
e
.
Di sicuro l’area deltriangolo parabolico sarà inferiore alla somma di due
rettangoli aventi base
e altezze rispettivamente
e
.
Quindi l’area cercata è minore di:
Se togliamo il secondo rettangolo e facciamo scorrere a destra il primo,
possiamo vedere che è contenuto nel triangolo parabolico,
quindi l’area cercata è maggiore di
.
Si può migliorare la stima dividendo l’intervallo in
parti, e poi in
,
e così via.
Maggiore è il numero di suddivisioni, minore sarà l’incertezza.
Se riuscissimo a dividere l’intervallo in infinite parti l’errore
sarebbe infinitesimo.
Ma proviamo a ricavare una formula generale nel caso della suddivsione in
parti.
In questo caso gli estremi destri di ogni suddivisione hanno ascissa
,
con
.
Le altezze dei rettangoli, che sono le ordinate di k in quei punti valgono
e l’area del k-mo rettangolo vale:
La somma di tutte queste aree sarà:
E raccogliendo
si ottiene:
Da altri studi, i matematici hanno trovato che la somma dei quadrati dal numero 1 al numero n è data dalla formula:
Ad esempio per
abbiamo che
e
La somma delle aree degli n rettangoli può allora essere scritta nella forma:
Se consideriamo un numero
infinito di rettangoli possiamo osservare che
e
saranno infinitamente vicini e questo varrà anche per
e
Quindi la formula precedente è equivalente a:
possiamo concludere che la somma delle aree degli infiniti rettangoli è
infinitamente vicina a
che è l’area del triangolo parabolico.
Dimostrazione visiva della formula per la somma dei primi n quadrati¶
Possiamo rappresentare i numeri con dei cubetti. In questo caso i numeri quadrati saranno rappresentati da prismi a base quadrata di altezza unitaria. La somma di quadrati può essere rappresentata da una piramide a gradoni realizzata sovrapponendo questi prismi.
Consideriamo
di queste piramidi.
Ora possiamo ruotare le piramidi...
...iniziamo a incastrare due coppie di “piramidi”...
...incastriamo anche la terza piramide ottenendo due parallelepipedi...
...accostiamo i due parallelepipedi in modo da ottenerne uno unico...
Abbiamo dimostrato così che sei “piramidi” sono equivalenti a un parallelepipedo.
Ma il volume di una piramide è dato dalla somma di enne quadrati:
E il volume del parallelepipedo è:
Da cui si ricava:
Riassumendo¶
I numeri Iperreali permettono di affrontare in modo nuovo alcuni problemi, ma finora li abbiamo usati in modo piuttosto intuitivo. Ora dobbiamo definire in modo molto preciso cosa intendiamo con “infinitesimo”, “infinito” e “numero iperreale”.
Una definizione ben fondata di questi termini ci permetterà di usarli al pari di tutti gli altri oggetti matematici.
Esercizi¶
- Calcola l’area del triangolo parabolico delimitato dalla parabola
, dall’asse delle ascisse e dalla retta
- Calcola l’area del triangolo parabolico delimitato dalla parabola
, dall’asse delle ascisse e dalla retta
- Calcola l’area del segmento parabolico delimitato dalla parabola
, e dal segmento che congiunge il vertice con il suo punto di ascissa
- Calcola l’area del segmento parabolico delimitato dalla parabola
, e dal segmento che congiunge il vertice con il suo punto di ascissa
Strumenti per vedere gli iperreali¶
Per poter operare con le grandezze infinitesime e infinite, dobbiamo riuscire a “vederle”. Per visualizzare i numeri reali usiamo la retta, sappiamo infatti che ogni numero reale è in corrispondenza biunivoca con un punto della retta reale. Ma se tutti i punti della retta sono già impegnati con i numeri reali come possiamo rappresentare queste altre grandezze?
Abbiamo bisogno di un nuovo modello di retta che contenga oltre ai punti reali anche i punti corrispondenti a queste nuove grandezze.
Una nuova retta per i nuovi numeri¶
Dobbiamo inventare un’altra retta che possiede altri punti oltre a quelli reali. Creiamo una retta “Iperreale” che oltre ai punti della retta reale ha anche altri punti che corrispondono agli infinitesimi e agli infiniti.
La nuova retta contiene anche i punti della retta reale e chiameremo numeri standard i numeri reali che corrispondono a quei punti e segmenti standard i segmenti di cui i numeri standard, in valore assoluto, esprimono la misura. La novità di questa retta è che su di essa si possono visualizzare i nuovi numeri, oltre ai numeri standard. Ma come facciamo a vederli, dato che tutti i punti normali della retta sono già occupati a rappresentare i numeri reali?
Abbiamo bisogno di alcuni strumenti particolari, che la nostra immaginazione ci può fornire.
Microscopi, telescopi e zoom¶
Poiché si tratta di collocare sulla retta iperreale numeri infinitesimi, che rappresentano “posizioni infinitamente vicine” ai numeri standard, e numeri infiniti, che corrispondono a “posizioni infinitamente lontane”, dobbiamo migliorare la nostra capacità di osservare e definire la distribuzione dei numeri sulla la retta iperreale. Per questo useremo microscopi, telescopi e zoom. Iniziamo ad usarli per visualizzare la posizione dei numeri standard.
Visualizzare numeri standard¶
Il microscopio punta la posizione del numero x sulla retta iperreale e ne
ingrandisce i dintorni n volte.
sono i numeri a destra di x (e analogamente a sinistra), distanti da x
multipli di
.
Le distanze fra i numeri vicini, ingrandite
al microscopio, appaiono uguali alle distanze nelle zone non ingrandite della
retta, ma in realtà sono distanze n volte minori.
Invece il telescopio non ingrandisce, serve ad “avvicinare” posizioni lontane
sulla retta iperreale. Le distanze fra numeri vicini sono quindi le distanze
consuete.
Per indicare che puntiamo su x scriveremo
Sono strumenti che si possono usare progressivamente, nel caso si voglia approssimare un numero qualsiasi. Ecco per esempio come puntare ad un numero lontano da 0 e ingrandire i suoi dintorni fino a visualizzarne i dettagli al centesimo di millesimo. Basta applicare un telescopio, puntare al numero intero con questo e poi progressivamente applicare due microscopi (x100 e x1000).

Come organizzarsi per distinguere nel campo visivo le posizioni prossime al numero 367,01000, diverse per la quinta cifra decimale.
Lo zoom (grandangolo???) è come un microscopio al contrario: le distanze che vengono visualizzate non sono fra unità ordinarie, ma fra loro multipli. Serve a guardare un punto da più lontano e lo punteremo esclusivamente sullo zero. In questo modo vengono visualizzati sia l’origine sia il punto lontano nello stesso campo visivo, ovviamente cambiando la scala di visualizzazione. Nei disegni, lo zoom sembra un microscopio con il bordo doppio.
Visualizzare i non standard¶
Ora che abbiamo fatto un po’ di pratica con i nuovi strumenti puntandoli sui “vecchi” numeri reali, proviamo ad usarli con i nuovi numeri.
In quale posizione della retta si situa un numero infinitesimo
?
Essendo così piccolo da risultare minore di qualsiasi numero standard,
un infinitesimo non può che situarsi così vicino allo zero da non riuscire a
distinguere i due numeri, con qualsiasi microscopio
(
),
non importa quale ingrandimento sia
impostato (
).
Avremo allora bisogno di un microscopio non standard,
capace di infiniti ingrandimenti (
)
Analogamente, un numero M infinito,
così grande da superare qualsiasi numero standard,
si situa così lontano dall’origine che nessuno zoom standard
()
lo può visualizzare.
Potrà entrare nel campo visivo solo di uno zoom non standard
(
)
Riassumendo¶
Per far corrispondere i nuovi numeri ai punti di una retta, non basta la vecchia retta reale, abbiamo bisogno di una nuova retta, una retta Iperreale.
Per poter visualizzare i punti della retta Iperreale possiamo utilizzare tre strumenti mentali: il microscopio, il telescopio, lo zoom.
Esercizi¶
Scrivi 4 numeri che puoi visualizzare puntando il telescopio su:
Quanti ingrandimenti deve avere un microscopio se vuoi visualizzare i numeri più vicini a:
Disegna come combinare gli strumenti per visualizzare
Se disponi solo di microscopi x100 e x1000, come visualizzare la settima cifra decimale di
, la nona cifra decimale di
, la quinta cifra decimale di
?
Esistenza degli infinitesimi e degli infiniti¶
I numeri reali sono profondamente collegati alla lunghezza di segmenti. Ogni numero reale può essere visto come la lunghezza di un segmento e, quello che è più problematico per il nostro lavoro, ogni segmento ha come lunghezza un numero reale. Quindi tutti i punti della retta sono già occupati a rappresentare numeri reali. Ma allora, gli strumenti visti nel capitolo precedente visualizzano dei miraggi o mostrano degli oggetti matematici coerenti?
Il postulato di Eudosso-Archimede¶
Una esperienza che possiamo fare è quella di prendere un foglietto di carta e dividerlo a metà, poi prendere una di queste metà e dividerla ancora a metà e continuare così con la metà della metà della metà e poi la metà della ... Continuando così possiamo far diventare il nostro foglietto piccolo quanto vogliamo. Ovviamente con oggetti fisici abbiamo delle limitazioni, ma con segmenti possiamo pensare di continuare questa operazione fin che vogliamo.
Detto in altro modo, se abbiamo un segmento A piccolo quanto vogliamo e un segmento B grande quanto vogliamo e continuiamo a dimezzare B, prima o poi otterremo un segmento più piccolo di A.
Questa proprietà dei segmenti, che è abbastanza evidente, non si può dimostrare, ma Eudosso prima, Archimede poi e molti altri matematici hanno suggerito di prenderla per vera. È il cosiddetto postulato di Eudosso-Archimede che può essere espresso in una di questa due forme:
1. Dati due segmenti diversi, esiste sempre un multiplo del minore che supera il maggiore.
2. Dati due segmenti diversi, esiste sempre un sottomultiplo del maggiore che è più piccolo del minore.
Sono espressioni diverse dello stesso concetto: è sempre possibile misurare un segmento, cioè esprimere la lunghezza di un segmento attraverso un numero (che sarà necessariamente positivo). Questo numero è multiplo, o sottomultiplo dell’unità di misura, cioè è un numero finito, che rappresenta quante volte il segmento contiene il segmento unitario.
Questo postulato esclude la possibilità che esistano segmenti infiniti o infinitesimi. Infatti il multiplo di un segmento finito è ancora finito e quindi, se è vera la prima affermazione, posso considerare un segmento B grande quanto voglio, ma sarà sempre più piccolo di un multiplo di un segmento finito, quindi sarà più piccolo di un segmento finito perciò non può essere infinito.
Analogamente, se prendiamo per buono il postulato di Eudosso-Archimede, possiamo dimostrare che non può esistere un segmento più piccolo di un qualunque altro segmento finito.
Con questo abbiamo dimostrato che non possono esistere infiniti o infinitesimi.
...
Stando così le cose, gli strumenti del capitolo precedente sono degli imbrogli e il resto del libro è fatto da pagine bianche.
Riassumendo:
- abbiamo dimostrato che non esistono infiniti e infinitesimi;
- la dimostrazione è basata sul postulato di Eudosso-Archimede;
Ma i postulati sono accordi tra matematici, non sono verità rivelate, e un accordo può essere cambiato. Se ci mettiamo d’accordo che non vale il postulato di Eudosso-Archimede allora possono esistere segmenti (e quindi numeri) infinitesimi e infiniti, gli strumenti presentati nel capitolo precedente non sono imbrogli e possiamo andare avanti a studiare il resto del libro.
D’ora in poi, chiameremo numeri standard i numeri che, in valore assoluto, esprimono le misure dei segmenti abituali; chiameremo non standard i numeri che coinvolgono quantità infinitesime o infinite.
Possiamo quindi scegliere: o Eudosso-Archimede o (esclusivo) numeri non standard. Visto che infiniti e infinitesimi possono risultare comodi teniamo questi ultimi e abbandoniamo il postulato.
Riassumendo¶
L’esistenza di numeri infiniti e infinitesimi contraddice il postulato di Eudosso-Archimede. Se vogliamo usare i primi dobbiamo abbandonare quest’ultimo.
Esercizi¶
Dimostra che se vale il postulato di Eudosso-Archimede non può esistere un segmento infinitesimo.
Iperreali e 4 operazioni¶
Abbiamo inventato delle grandezze infinitesime e infinite, abbiamo inventato degli strumenti mentali che permettono di vederle in una nuova retta dei numeri, la retta iperreale. Ma chi ci dice che queste cose possano essere considerate dei numeri?
Per potersi fregiare del titolo di numeri devono essere in grado di sostenere le operazioni e magari anche il confronto.
Iperreali: chi sono, quanti sono e come chiamarli.¶
Intendiamo per segmento infinitesimo “un segmento piccolo a piacere”, cioè un segmento più piccolo di qualunque segmento di lunghezza finita che possiamo immaginare. Una tale qualità, non può avere alcun multiplo che supera qualsiasi segmento di misura finita, per quanto piccola.
Abbiamo chiamato standard i segmenti e i numeri che abbiamo sempre usato: i segmenti che hanno misura finita e i numeri finiti. I segmenti e i numeri infinitesimi o infiniti sono non standard. D’ora in poi ci riferiamo ai numeri e tralasciamo di specificare ogni volta le proposizioni analoghe relative ai segmenti. Possiamo sintetizzare alcuni fatti:
- Un numero infinitesimo è minore, in valore assoluto, di qualsiasi numero standard positivo.
- Un numero è finito se è minore di almeno un numero standard. Quindi tutti gli standard sono finiti. Per lo stesso motivo, anche gli infinitesimi sono finiti.
- Un numero standard non può essere infinito. Ai numeri standard si applica il postulato di Eudosso Archimede: quindi un numero infinito non è standard e la sua esistenza nega il postulato.
- Un numero infinito è maggiore, in valore assoluto, di qualunque numero standard.
- Lo zero è minore di qualsiasi numero standard positivo. È quindi un numero particolare: è l’unico numero standard infinitesimo.
Dunque i numeri finiti possono essere o no infinitesimi: i numeri finiti non infinitesimi non sono nè infiniti nè infinitesimi, quindi si collocano, per il valore assoluto, fra due numeri standard positivi.
Tutti i numeri standard sono finiti e, a parte lo zero, non infinitesimi. Ma non tutti i finiti non infinitesimi sono numeri standard, pur escludendo 0.
Quanti sono i numeri non standard?¶
Se ammettiamo l’esistenza anche di un solo numero infinitesimo, non possiamo
che ammetterla di tutti: saranno i risultati delle 4 operazioni, svolte fra
infinitesimi e standard.
I reciproci dei numeri infinitesimi (per es.
)
produrranno numeri infiniti. Infatti, in quanto infinitesimo, sarà:
,
(n finito).
Passando ai reciproci e ricordando che la disuguaglianza vale per tutti
gli n, si deduce che
è un numero infinito.
Se è vero che si possono pensare infiniti numeri infinitesimi, allora,
da questi, potremo ottenere infiniti numeri infiniti,
ricorrendo a disuguaglianze analoghe alla precedente.
Come indichiamo gli Iperreali?¶
Possiamo ricapitolare i nuovi numeri con la seguente classificazione:
Riguardo ai nomi, in questo testo utilizzeremo le seguenti convenzioni:
numero | abbreviazione | simboli |
---|---|---|
Infinitesimo | i | |
Infinitesimo non nullo | inn | ![]() |
Finito | f | |
Finito non infinitesimo | fni | ![]() |
Infinito | I | ![]() |
Numero qualunque | ![]() |
La somma¶
La somma fra due numeri
(di tipo inn) non può dare un numero finito.
Si tratta infatti di due quantità infinitesime, più piccole
di qualsiasi numero finito, più piccole anche della sua metà.
Sicchè, sommate, non possono superare un qualsiasi valore finito.
Potrebbero però sommare 0, se fossero numeri opposti.
Quindi inn + inn = i.
La somma fra
e
(fni + inn )
aggiunge una quantità piccola a piacere ad un numero finito.
È come se aggiungesse “poco o nulla”, quindi il risultato è fni.
Il caso particolare, che a sia finito, molto piccolo e vicino a zero,
si visualizza con gli opportuni ingrandimenti.
Esiste sempre almeno un ingrandimento
utile far sì che un microscopio standard visualizzi un simile fni,
proprio perché è diverso da 0.
Invece, trattandosi di un microscopio standard, il suo campo visivo non
riesce a cogliere una quantità infinitesima.
E così abbiamo per tutti i casi: inn + fni = fni.
La somma a + b fra due fni propone vari casi: se a = -b , allora a + b = 0. Se sono di segno concorde risulterà un numero s di tipo fni. Se a, oppure b, o entrambi sono fni (nel senso che almeno uno dei due risulta da fni + inn, come visto nel caso precedente) allora può risultare un inn. Riassumendo: fni + fni = f.
La tabella sintetizza i possibili casi. Come esempio di un
risultato inatteso, supponiamo che M provenga da una somma I + inn = I
e B sia l’opposto di A:
Allora
,
quindi in questo caso: I + I = inn!
La differenza¶
Le regole della differenza sono legate a quelle della somma;
basta immaginare che il sottraendo sia l’opposto di un
addendo:
.
Vale quindi ancora la stessa tavola di risultati vista per la somma.
Il prodotto¶
C’è un modo per visualizzare il prodotto fra due numeri come segmento sulla retta: bisogna ricorrere al Teorema di Talete e immaginare i due numeri e l’unità di misura rappresentati come nel disegno.
Riferendosi alle misure (segmenti standard): ab misura BC ed è il prodotto fra le misure dei due segmenti UA e OB. La rappresentazione non cambia sulla retta iperreale, dove, in più, si visualizzano anche le quantità infinitesime.
Immaginiamo il prodotto
,
con i punti U e A talmente vicini sulla stessa retta da potersi distinguere
solo con un microscopio non standard.
Allora per il Teorema di Talete B risulterà così vicino a C da richiedere
l’uso di un altro microscopio non standard per distinguerli,
segno evidende che il prodotto è di tipo inn.
Anche moltiplicare un infinito per un infinitesimo non nullo richiede qualche riflessione. Per es.
Per un prodotto del tipo i
inn,
e in assenza di ulteriori informazioni, non è possibile prevedere il tipo
del risultato.
Questi casi, che si verificano anche nella somma,
si chiamano forme indeterminate. Vale comunque:
La tabella, che contiene anche casi più facili (per es. il prodotto fra due numeri fni), è la seguente.
Il quoziente¶
La seconda tabella nella Figura 6.6 elenca i tipi dei numeri reciproci di numeri iperreali. È utile per applicare alla divisione le stesse regole del prodotto. Dalla tabella è escluso lo zero, dato che il reciproco di zero non è definito.
Un esempio: dato che
allora
che è un caso indeterminato, come si è già visto nel prodotto.
Il quoziente fra un inn e un fni è intuitivamente un infinitesimo. Lo si può dimostrare, ricorrendo alla tabella dei reciproci:
Per il quoziente fra un inn e un I:
Si possono considerare i reciproci nell’uguaglianza precedente, e ricavare:
,
oppure, pescando direttamente dalla tabella dei reciproci:
Aiutandosi sempre con la tabella dei reciproci, è facile trovare i tipi risultanti dai quozienti fra un tipo I con un inn oppure con un fni. Infine nello stesso modo regoleremo il rapporto fra un I e un I, che risulta indeterminato. La tabella riassume tutti questi ragionamenti intuitivi
Le dimostrazioni¶
Come provare in modo esatto e formale che queste regole sono coerenti con le
definizioni date ai numeri iperreali?
Per dimostrare i casi nelle tabelle della somma e della differenza per lo più
si ricorre alla disuguaglianza triangolare
,
come viene proposto in uno degli esercizi.
Per gli altri casi, dimostriamo come esempio che il quoziente fra un fni e un
inn è I, cioé è maggiore di qualsiasi standard (s).
Consideriamo per semplicità solo numeri positivi.
.
Se a è standard è sicuramente maggiore di un altro numero standard t.
Quindi
.
Perché quest’ultimo sia
è sufficiente che
,
cosa senz’altro vera.
Le dimostrazioni formali possono confortare, ma è indispensabile raggiungere i risultati intuitivamente, per valutare con sicurezza e in modo spedito casi più complessi di questi, che sono elementari.
L’ordinamento¶
Per quanto riguarda l’ordinamento possiamo osservare che:
- i numeri negativi sono minori dei numeri positivi;
- i numeri negativi con valore assoluto maggiore sono minori dei numeri negativi con valore assoluto minore;
- 0 è minore di tutti i numeri positivi;
- Gli infinitesimi sono minori di tutti i finiti non infinitesimi positivi;
- i finiti non infinitesimi sono minori degli infiniti positivi;
- tra i finiti non infinitesimi diremo che a > b se a - b > 0.
Riferendoci ai numeri positivi e usando le convenzioni precedenti possiamo scrivere:
Rimangono da confrontare infinitesimi con infinitesimi e infiniti con infiniti.
Sulle proprietà¶
Le proprietà delle 4 operazioni nell’insieme dei reali valgono anche con gli iperreali. La dimostrazione di questo si deve al matematico Abraham Robinson, che la pubblicò nel 1963.
Riassumendo¶
Standard, non standard, finiti, infiniti e infinitesimi sezionano l’insieme degli Iperreali in vari sottoinsiemi che è indispensabile ricordare. Usando l’intuizione, più che le dimostrazioni formali, si studiano i tipi dei possibili risultati delle 4 operazioni, quando si usano i numeri iperreali. Le operazioni hanno le stesse proprietà che hanno con i numeri reali.
Esercizi¶
- Perché frazionando un segmento finito non riesci mai a ottenere una lunghezza infinitesima?
- Un numero irrazionale è un numero finito? E un numero trascendente? E un numero decimale periodico? E un numero standard può essere decimale illimitato non periodico?
- Se l’insieme dei numeri reali è (già) denso, come è possibile inserire anche gli infiniti e gli infinitesimi? Allora sarà denso anche l’insieme degli iperreali?
- Una tribù primitiva conosce solo l’uso di 4 numeri: 1, 2, 3, 4. Un numero
maggiore viene genericamente indicato con “molti” (5 pecore –>
molte pecore, 8, 15, 30 pecore –> molte pecore).
Immagina che da un gruppo di pecore ne vengano rubate alcune e indica
le sottrazioni e i risultati con questo esiguo insieme di numeri.
- Classifica con diagrammi di Eulero-Venn l’insieme degli Iperreali, dei numeri finiti, degli infinitesimi, dei numeri standard.
- Completa la casistica dei risultati inattesi per la somma I + I = ?
- Visualizza con microsopi e telescopi la somma
, supponendo a molto minore di 0.
- Spiega con esempi la Tavola delle somme.
- Visualizza con microsopi e telescopi 6 esempi diversi di prodotto
- Spiega con esempi la Tavola dei reciproci.
- Dimostra che inn + inn = i , seguendo il ragionamento del testo e facendo uso della disuguaglianza triangolare.
- La Tavola della divisione ha un risultato in ogni casella, non come le precedenti. Perché?
- Abbiamo definito i numeri standard, gli infinitesimi e gli infiniti. Possiamo dire che gli ultimi due fra questi sono non standard e che gli standard sono numeri finiti?
Confronti fra iperreali¶
Abbiamo visto che il rapporto fra due numeri di tipo I è una forma indeterminata.
Il caso elementare è infatti e nulla si può dire
di più, mancando ulteriori informazioni. Vediamo però un caso un po’ più impegnativo.
Ricorrendo alle tavole del prodotto e della somma si sarebbe
tentati di classificare questo rapporto secondo i tipi
come il precedente. Però il ragionamento intuitivo ci dice che il numero a nel denominatore influisce sul risultato molto di meno
rispetto al numeratore: in aM il numero a viene moltiplicato infinite volte,
mentre in a+M, a si aggiunge all’infinito e rispetto ad esso è poco rilevante.
Quindi
e il rapporto si può approssimativamente semplificare,
determinando il tipo fni. Il ragionamento “a spanne” può essere formalizzato
con una tecnica che tornerà utile: mettere in evidenza il termine più rilevante.
Da qui, l’analisi dei tipi:
Confrontare due infinitesimi¶
Siamo abituati a confrontare le distanze stradali, l’altezza delle persone, il peso di due oggetti... L’operazione che facciamo spontaneamente è valutare la differenza fra due misure e in genere ci sembra un’informazione sufficiente. Ma esaminiamo due casi:
- Uno studente in sei mesi cresce di 10 cm, partendo da un’altezza di 160 cm.
- Il Ponte di Brooklin, lungo circa 1800m, si allunga di più di un metro passando dall’inverno all’estate.
È banale dire che il ponte “cresce” di più, d’altra parte è anche molto più lungo. Se si valuta l’allungamento in rapporto alla misura iniziale, si vede che lo studente in sei mesi cresce in proporzione 112 volte più del ponte. Cioé se il ponte fosse ridotto ad un modellino di 160 cm, si allungherebbe di meno di 1 mm. Il segreto per valutare correttamente sta nel termine “in proporzione”: non si confrontano due misure con il calcolo della loro differenza, ma con il loro quoziente . Anche con due numeri di tipo inn useremo lo stesso procedimento: per confrontarli valuteremo il quoziente fra gli infinitesimi.
La tavola delle divisioni ci dice che il quoziente
è indeterminato, cioé ammette più risultati. Ma entriamo nei dettagli. D’ora in avanti, per semplificare, supporremo che
i due infinitesimi siano quantità positive.
Se usiamo due numeri standard, il
rapporto esprime la misura di a secondo b, è di tipo
fni , cioé è un numero che si colloca fra due numeri standard. Sappiamo
già che se a, b sono molto piccoli troveremo un opportuno
microscopio standard che li visualizza vicini e distinti.
Ma in questo caso, trattandosi di infinitesimi, nessun
microscopio standard riesce a visualizzarli distinti da zero. Cioé per tutti
gli n ingrandimenti possibili (
) i due
infinitesimi e lo zero coincidono.
Allora bisogna usare un microscopio non
standard e puntarlo sullo zero. Avremo due casi:
- i due infinitesimi sono entrambi visibili nel campo visivo del microscopio, regolato allo stesso (infinito) ingrandimento: sono distinti sulla retta, vicini allo zero ma separati da esso (primo caso).
- uno dei due infinitesimi è più piccolo dell’altro, ma non infinitamente
più piccolo. Quindi uno si distingue da zero, ma non l’altro. Bisogna allora
usare un secondo microscopio, questa volta un microscopio standard, e
puntarlo sullo zero nel campo visivo del primo microscopio. Esisterà un
opportuno ingrandimento finito (
) che consente di separare dallo zero anche il secondo infinitesimo (secondo caso).
Se per entrare nel mondo infinitamente piccolo dei e
degli
facciamo uso di un solo microscopio non standard e
con questo riusciamo a distinguerli fra loro e dallo zero allora si dice che i due infinitesimi sono del primo
ordine. L’ordine di un infinitesimo corrisponde al numero di microscopi
non standard utilizzati in sequenza per distinguerlo dallo zero.
Quindi se basta un solo microscopio non standard per visualizzarli distinti,
due infinitesimi sono entrambi del primo ordine, non importa se abbiamo avuto
bisogno anche di un microscopio standard.
In generale, se due infinitesimi sono dello stesso ordine, si distinguono entrambi da zero e fra loro grazie allo stesso numero di microscopi non standard.
Il rapporto (oppure
) calcola quante volte il secondo
infinitesimo sta nel primo. Nel campo visivo del microscopio non
standard il numero di volte può essere contato, quindi il risultato è un
fni.
Sappiamo che un fni si colloca fra due numeri standard, quindi
. Stiamo esprimendo la misura di
in unità
. Insomma, seppur ridotti al mondo
infinitamente microscopico, possiamo simulare le stesse operazioni di
confronto imparate con i segmenti e i numeri standard.
Il secondo caso è quello in cui fra i due infinitesimi, il primo è “più
infinitesimo” del secondo. Seguendo il metodo del caso precedente, applicare
qualsiasi microscopio standard allo zero risulta inutile. Applichiamo
dunque un microscopio non standard e regoliamo l’ingrandimento fino al valore
infinito che ci consente di visualizzare l’infinitesimo maggiore
(diciamo ), che è il numero iperreale meno piccolo.
appare
per primo nel campo visivo mentre
è troppo
infinitamente vicino allo zero, troppo piccolo per poter essere visualizzato con quell’ingrandimento. Non lo potremo visualizzare nemmeno aiutandoci con un altro microscopio che sia standard: questa volta anche il secondo
microscopio deve essere non standard.
Quando nel campo visivo
comincia a distinguersi dallo zero
(siamo a infiniti di infiniti ingrandimenti),
non si vede più.
Per poter vedere
abbiamo raggiunto un ingrandimento così
infinitamente forte che
è uscito dal campo visivo. Il segmento di misura
si è infinitamente allungato: grazie al secondo
ingrandimento,
da infinitesimo è diventato un infinito.
Se lo volessimo rivedere dovremmo cercare di attenuare l’ingrandimento
e applicare un telescopio (oppure uno zoom) non standard. In una situazione così, si dice che
è infinitesimo di ordine superiore rispetto a
(cioé è infinitamente più piccolo) e si scrive
.
Il rapporto fra i due risulta quindi un numero infinitesimo non nullo.
Il secondo infinitesimo è di ordine superiore
Il terzo caso è quello in cui fra i due infinitesimi, il primo è “meno
infinitesimo” del secondo. In pratica nella scala in cui si visualizza il
denominatore, il numeratore si trova a distanza infinita. Quindi
è infinitesimo di ordine inferiore (
è
infinitesimo di ordine superiore), quindi stavolta
.
Il rapporto fra i due risulta quindi un numero infinito.
Confrontare due infiniti¶
Il tipo
è indefinito: può dare origine a un fni, a un I oppure a un inn. Trattandosi di infiniti e non di infinitesimi,
useremo gli zoom invece dei microscopi e seguiremo un percorso simile.
Anche qui immaginiamo per semplicità che M e N siano infiniti positivi.
I due infiniti sono dello stesso ordine
I due infiniti non sono “a tiro” per uno zoom standard. Occorre usare uno
zoom non standard perché si trovano all’infinito. Regolando l’ingrandimento
di uno zoom non standard, se M > N il numero M sarà il primo a comparire nel campo visivo, distinto da zero.
Di nuovo si avranno due casi: che anche il punto N risulti separato
dall’origine, oppure che occorra usare un microscopio standard per separarlo.
In ogni caso il rapporto fra i due infiniti è calcolabile nel campo
visivo dello zoom, eventualmente tenendo conto degli ingrandimenti
del microscopio. Poiché usiamo un solo zoom non standard, diciamo che
entrambi i numeri sono infiniti di ordine 1.
Il rapporto fra i due segmenti infiniti
(e anche il suo reciproco) risulterà un numero di tipo fni.
Il numero di zoom non standard necessari a visualizzare un iperreale infinito dipende dal suo ordine di infinito. Se M e N sono infiniti dello stesso ordine, il numero di zoom non standard che usiamo per visualizzarli è lo stesso. Infatti possiamo averli nello stesso campo visivo.
Il primo infinito è di ordine superiore
Se M > N, questa volta N è il primo numero a comparire separato da zero nel campo visivo di uno zoom non standard. Ma M in questa situazione si trova all’infinito, cioé non è raggiungibile mediante uno zoom standard puntato su N. Occorre usare un secondo zoom non standard e a quel grado di infinito (infinito di infinito) N è schiacciato sullo zero. Nessun microscopio standard può distinguere N da zero. Si può farlo solo puntando sullo zero un microscopio non standard nel campo visivo dello zoom non standard, in modo da ridurre il grado di infiniti ingrandimenti. Possiamo dire che M è un infinito di secondo ordine, mentre N lo è di primo. Siccome nel visualizzare N, M è andato all’infinito, occorrono infiniti segmenti ON per misurare OM. Quindi il quoziente fra i numeri M e N dà luogo a un numero infinito. Questo succede in generale, cioé se M è un infinito di ordine superiore a N.
Il secondo infinito è di ordine superiore
Per analizzare quest’ultimo caso basta invertire M e N nel rapporto precedente, oppure ricondurci al risultato visto nella tabella dei reciproci. Se M è un infinito di ordine inferiore, il rapporto fra M e N risulta infinitesimo.
Riassumendo¶
Il confronto fra due numeri è utile se risulta dal loro rapporto, non dalla loro differenza. Il rapporto fra due infinitesimi è indefinito. Visualizzandoli con i microscopi non standard si distinguono 3 casi: possono essere infinitesimi dello stesso ordine, oppure il primo, o il secondo, può essere di ordine superiore. Le tre situazioni portano a risultati diversi. Lo stesso accade nel rapporto fra infiniti. Questa volta invece dei microscopi, si usano gli zoom non standard.
tipo | confronto |
---|---|
i | ![]() |
I | ![]() |
Esercizi¶
- Il primo esempio del capitolo ricorda la formula della resistenza equivalente nel caso di un circuito elettrico con due resistenze in parallelo. Segui l’analisi dei tipi sviluppata nel testo e applicala al circuito in questione.
- Di che tipo è l’espressione:
? (Se segui la tecnica spiegata all’inizio del capitolo, vedrai che il tipo risultante non è i).
- Di quali e quanti strumenti hai bisogno per visualizzare
il numero che risulta da
? E da
?
- Se
sono infinitesimi dello stesso ordine, come disponi gli strumenti per distinguere
,
? E quali sono i tipi che che risultano?
- Risolvi i due esercizi precedenti sostituendo i numeri infinitesimi con numeri infiniti
Distanze sulla retta iperreale¶
La retta e i numeri iperreali¶
Abbiamo usato un modello di retta che, grazie a strumenti non standard, permette di visualizzare anche i numeri non standard. I punti della retta iperreale sono in corrispondenza biunivoca con i numeri iperreali. Gli iperreali (insieme *R) sono: i numeri standard, cioé i numeri reali (insieme R), e i numeri non standard. I numeri non standard sono: gli infiniti, gli infinitesimi e una parte dei finiti non infinitesimi.
Sappiamo già che sulla retta reale ogni punto corrisponde ad un numero reale e che fra due punti, per quanto vicini, saremo sempre in grado di collocarne un terzo. La distanza di questo terzo punto dagli altri due sarà molto piccola, ma finita. Non infinitesima. Sappiamo anche che i punti sono infiniti, cioé che possiamo sempre collocare un punto più a destra o più a sinistra degli altri. Ma per quanto sia infinito l’insieme dei numeri reali, tuttavia i numeri reali infiniti non esistono. Sulla retta iperreale le cose sono diverse.
Non ci sono dimostrazioni che confermino la corrispondenza biunivoca fra i punti della retta (reale o iperreale) e i numeri corrispondenti. La assumiamo per vera, cioé come postulato implicito nella scelta del modello di retta. Se non fosse così, cioé se la retta “avesse dei buchi” o se mancassero dei numeri per esprimere la posizione di alcuni punti, la retta (reale o iperreale) sarebbe un modello inutile.
Distanze infinitesime, monadi e numeri finiti¶
Esistono gli infinitesimi e quindi esistono le distanze infinitesime. Un numero x è infinitamente vicino ad un numero y (si scrive ) se
è un infinitesimo.
L’insieme dei numeri iperreali a distanza infinitesima da x si chiama monade di x: mon(x). mon(x) è in pratica il campo visivo di un microscopio non standard puntato su x.
Fra le monadi, la principale è mon(0), infatti lo zero è “circondato” da infinitesimi. Se x è un infinitesimo, potremo scrivere
o più semplicemente
.
La distanza fra due numeri standard è zero oppure è finita. Quindi fra due numeri standard a, b non può succedere che
, a meno che non coincidano. Così due numeri standard non possono appartenere alla stessa monade.
È facile vedere che l’essere infinitamente vicino è una relazione di equivalenza. Per questo individua una partizione sulla retta iperreale.
Le monadi ricoprono la retta senza sovrapporsi, “centrate” ognuna su un numero finito diverso. Le monadi dei numeri finiti contengono un numero standard, uno al massimo.
Anche i numeri infiniti hanno proprie monadi e possono essere infinitamente vicini.
Ogni numero finito x si può esprimere come
, con s che è la sua parte standard (s=st(x)) e mentre
è la sua parte infinitesima (eventualmente nulla).
Se la parte infinitesima di un numero finito è nulla, il numero coincide con la sua parte standard.
Invece, se è nulla la sua parte standard, il numero finito è un infinitesimo.
Le parti standard dei numeri finiti si sommano come avviene per i numeri reali: sicché la somma della parti standard è la parte standard della somma.
Anche le parti infinitesime di due numeri finiti sono sommabili e sappiamo, dalla tavola della somma, che la loro somma è un infinitesimo.
Distanze finite e galassie¶
Due numeri a distanza finita si dicono finitamente vicini.
Quindi, in questo caso è un numero finito. Come per la distanza
infinitesima, anche la distanza finita è una relazione di equivalenza,
che quindi individua una partizione nell’insieme *R.
Tutti i numeri a distanza finita da un certo numero x costituiscono la
sua Galassia:
.
x è un qualsiasi iperreale.
Se x = 0, gli y a distanza finita da x
determinano l’insieme dei numeri finiti. Gal(0) per questo motivo è detta galassia principale. Occorre ricordare che l’espressione “a distanza finita”
non vuol dire che la distanza sia un numero standard, ma che è un numero finito, quindi esprimibile come .
La parte infinitesima può essere eventualmente nulla, ma non è detto che lo sia.
Per questo la galassia principale contiene tutti i numeri finiti, standard e non standard.
I numeri a distanza finita da x si visualizzano mettendo in
corrispondenza di x un telescopio standard e puntandolo verso
gli altri numeri della galassia.
Se x è un numero infinito, Gal(x) è l’insieme dei numeri a distanza finita da x, che sono tutti infiniti (vedi per questo la tavola della somma). Poiché i numeri infiniti sono ..infiniti, sono infinite anche le loro galassie. La retta iperreale contiene quindi infinite galassie, oltre alla galassia principale.
Distanze tali da rendere i numeri indistinguibili¶
Due numeri non nulli si dicono indistinguibili se la loro differenza
è infinitesima rispetto a ciascuno di essi. Cioé:
e
.
x indistinguibile da y si scrive:
.
Immaginiamo di collocare due numeri non nulli sulla retta iperreale.
Se sono infinitesimi e non si riesce a cogliere la loro distanza nel campo visivo del microscopio non standard che visualizza uno dei due,
allora sono indistinguibili.
Se invece sono infiniti, sono indistinguibili se lo zoom non standard, che visualizza uno dei due, non riesce a separarlo dall’altro.
In pratica sono indistinguibili se non si riesce a cogliere la loro differenza nella stessa scala (di riduzione o di ingrandimento) con cui si visualizzano.
È importante che i numeri (e i segmenti corrispondenti) non siano nulli, perché
a qualsiasi scala il punto ha lunghezza uguale a zero e quindi il rapporto della definizione non avrebbe senso.
Tornando alla definizione, da risulta
.
Quindi una definizione equivalente di indistinguibili è: Due numeri si dicono indistinguibili se la parte standard del loro rapporto vale 1. Oppure, che è lo stesso: ... se il loro rapporto è infinitamente vicino a 1. Ovviamente se due numeri sono indistinguibili, sono dello stesso tipo.
Alcuni dettagli sugli indistinguibili in relazione ai loro tipi.
(Ricorda che a rappresenta un numero di
tipo fni, rappresentano inn, M rappresenta
un numero di tipo I, mentre x,y sono di tipo qualsiasi).
- Aggiungere un infinitesimo ad un numero non infinitesimo produce un risultato
indistinguibile:
.
- Per due numeri di tipo fni essere indistinguibili o essere infinitamente
vicini è la stessa cosa:
.
- Due infinitesimi sono sempre infinitamente vicini, ma non è detto che siano
indistinguibili. Per essere indistinguibili devono differire per un
infinitesimo di ordine superiore:
.
- Quindi:
e
sono relazioni diverse perché la seconda è sempre vera, mentre la prima può non esserlo. Per esempio due infinitesimi dello stesso ordine come
sono distinguibili perché la parte standard del loro rapporto è diversa da 1.
- Per gli infinitesimi, l’essere indistinguibili è una condizione più impegnativa che essere dello stesso ordine.
- Due infiniti sono indistinguibili se differiscono di un numero finito oppure
di un numero infinitesimo:
.
- Due infiniti sono indistinguibili se differiscono di un infinito di ordine
inferiore:
.
- Per gli infiniti, l’essere indistinguibili è una richiesta meno impegnativa dell’essere infinitamente o finitamente vicini.
Riassumendo¶
Postulato: i punti della retta iperreale sono in corrispondenza biunivoca con i numeri iperreali (insieme *R). Due punti sulla retta iperreale (e i due numeri corrispondenti) possono essere infinitamente vicini o finitamente vicini. Sono due diverse relazioni di equivalenza, che ripartiscono la retta iperreale con monadi o galassie. Inoltre due punti possono essere indistinguibili, cioé così vicini che la loro distanza rapportata a ciascuno dei due è un infinitesimo.
Esercizi¶
- Dimostra che
è una relazione di equivalenza
- Traduci in formule i due paragrafi sulla somma di due numeri finiti.
- Dimostra le proprietà seguenti:
- Sotto quale ulteriore condizione è vera la quarta relazione precedente?
- La catena di deduzioni che viene dalla definizione di indistinguibili, può essere percorsa a ritroso? E vale anche scambiando al denominatore x con y?
- Dimostra a partire dalla definizione che se due numeri sono indistinguibili allora il loro rapporto è infinitamente vicino a 1.
- Gli indistinguibili sono necessariamente dello stesso tipo: vale anche il viceversa?
- Una sola delle seguenti proposizioni è vera: quale? 1) Due infiniti sono indistinguibili se appartengono alla stessa monade o galassia. 2) Due infiniti appartengono alla stessa monade o galassia se sono indistinguibili
- Due infiniti indistinguibili sono necessariamente dello stesso ordine? E due infiniti dello stesso ordine sono necessariamente indistinguibili?
- Quale confronto viene rappresentato dall’immagine che segue? Descrivi il procedimento per risolverlo.
Operare con gli indistinguibili¶
Il vantaggio di usare numeri indistinguibili¶
I numeri indistinguibili sono vantaggiosi nel semplificare i calcoli con gli iperreali. L’idea che si segue è di sostituire i numeri dati in un’espressione con altri indistinguibili, con i quali il calcolo risulta più facile. Si otterrà un risultato indistinguibile dal risultato dell’espressione iniziale. In effetti è questo il metodo seguito per risolvere intuitivamente i problemi introduttivi, nei quali il risultato cercato corrisponde alla parte standard dell’espressione risolvente. Ora però vogliamo definire poche regole generali in modo che quel metodo sia applicabile generalmente.
Per iniziare¶
Dal capitolo precedente richiamiamo poche regole pratiche. Diremo che:
- nella somma di due infinitesimi posso trascurare un
infinitesimo di ordine superiore, es:
, se
è di ordine superiore;
- nella somma di un finito non infinitesimo con un
infinitesimo posso trascurare l’infinitesimo, es:
;
- nella somma di un infinito con un infinitesimo posso
trascurare l’infinitesimo, es:
;
- nella somma di un infinito con un finito non infinitesimo
posso trascurare il finito non infinitesimo, es:
;
- nella somma di due infiniti posso trascurare un infinito di
ordine inferiore, es:
se N è di ordine inferiore.
Esempi di calcoli¶
- Trovare il tipo di
e, se si tratta di un fni, il risultato indistinguibile.
Si tratta di un rapporto fra infiniti, quindi una forma indeterminata.
Con le regole degli indistinguibili si ottiene
. È un numero di tipo fni, quindi
.
Analogamente, si ottiene:
perchè l’espressione indistinguibile corrispondente a quella data è a.
Con stessa facilità si può vedere che
.
Una situazione da analizzare con cura:
Se si opera pensando che la parentesi sia indistinguibile da 3, allora il numeratore è indistinguibile da 0. Ma la definizione di indistinguibili dice: Due numeri non nulli si dicono.... Quindi se uno dei numeri è 0 non si può ricorrere agli indistinguibili. Operando algebricamente si evita l’ostacolo.
, cioé la frazione è indistinguibile da 6.
Ma come ci si comporta in generale di fronte a un problema simile?
Somme algebriche fra indistinguibili¶
Come mi devo comportare se devo sommare o sottrarre due iperreali? La loro somma (o differenza) può essere ricavata attraverso la somma (o differenza) dei loro indistinguibili? In simboli:
Dati , è vero che:
?
La risposta è: non in tutti i casi. Se x, y sono due numeri indistinguibili fra loro (quindi se vale anche ) allora:
- se devo sommarli, non devono essere numeri opposti
- se devo sottrarli, non posso usare gli indistinguibili al loro posto.
Esempi di calcoli e di rappresentazioni¶
contiene iperreali infiniti. Seguendo le regole sintetizzate in apertura, si trascurano gli infiniti di ordine inferiore. Quindi:
. La rappresentazione mostra che qualsiasi zoom standard non può visualizzare i due numeri sulla retta disegnata in scala ordinaria. Invece con uno zoom non standard i due numeri entrano nel campo visivo e sembrano coincidere. Per separarli occorrerrà usare un microscopio non standard. Questo conferma la definizione del cap. precedente: la distanza fra indistinguibili non può essere visualizzata nella stessa scala in cui compaiono sulla retta.
- In
si trascurano gli infinitesimi di ordine superiore. Il risultato è un infinitesimo (quindi ha la parte standard nulla) e lo si vede in figura 2. Sulla retta i numeri coincidono con 0 nel campo visivo di qualsiasi microscopio standard, coincidono fra loro (ma distinti da 0) nel campo visivo di un microoscopio non standard e restano indistinti anche applicando un qualsiasi ulteriore microscopio standard.
Esercizi svolti¶
Trova gli indistinguibili delle espressioni seguenti.
Soluzioni:
- se considero
il risultato della parentesi è 0. Poiché lo zero è escluso dalla relazione di indistinguibilità, devo sviluppare la differenza:
Ora posso applicare l’indistinguibilità.
è un infinitesimo ma non posso trascurarlo nella parentesi tonda per gli stessi motivi dell’es.1. Devo svolgere i calcoli e poi cercare gli indistinguibili.
- Trascurando 1 nel primo radicando, si ricade nel problema dello zero. Si ricorre allora ad un trucco algebrico: moltiplicare e dividere per la stessa quantità nel modo seguente:
- che è un infinitesimo, cioé ha parte standard nulla.
- Guardando il denominatore, è facile ricavare che la frazione è indistinguibile da un infinitesimo e quindi la sua parte standard è nulla.
Riassumendo¶
L’uso degli indistinguibili è vantaggioso per semplificare i calcoli. Nello svolgere gli esercizi l’unica cautela è evitare che l’espressione si annulli e per questo si ricorre alle tecniche dell’algebra.
Esercizi¶
- Considera
. Dimostra: 1)
2)
- Considera
e dimostra che vale come esempio per la regola della differenza fra indistinguibili.
- Trova l’indistinguibile:
- Trova l’indistinguibile:
- Trova l’indistinguibile:
- Trova l’indistinguibile:
- Trova l’indistinguibile:
Funzioni iperreali¶
Per i nostri scopi, solo in questo capitolo, indichiamo con un numero qualsiasi iperreale (x star), per distinguerlo da un qualsiasi x reale.
Finora abbiamo utilizzato gli iperreali nei calcoli più comuni, per capirne le proprietà. Li abbiamo inseriti in addizioni e sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni, potenze, radici quadrate... Abbiamo usato le funzioni algebriche: intere, razionali e irrazionali. In questo capitolo l’uso degli iperreali viene esteso alle funzioni in genere, a quelle già incontrate e alle altre, trascendenti.
Estendere il dominio¶
Il dominio di una funzione è l’insieme dei numeri che la funzione
utilizza per produrre i suoi risultati.
Non è difficile estendere un dominio dai reali agli iperreali. Per es. un dominio così definito:
, l’estensione iperreale è:
In questo modo l’insieme A è stato arricchito degli infiniti (in questo
caso si tratta degli infiniti positivi), degli infinitesimi e di tutti
gli iperreali contenuti nelle monadi di A.
Si dice che
(A star) è l’estensione iperreale di A.
Un altro esempio: l’estensione iperreale dell’intervallo chiuso [ 1 , 3 ] è l’intervallo iperreale , cioè l’insieme dei numeri iperreali
.
L’estensione di un insieme di reali è l’insieme di iperreali che verificano le stesse proprietà.
Estendere la funzione¶
Se una funzione opera su un insieme di reali (funzione reale di variabile reale) come si comporterà dopo l’estensione iperreale del suo dominio? Noi vorremmo mantenere le sue proprietà, in modo da poter risolvere problemi come quelli dei capitoli introduttivi senza complicazioni ulteriori.
Ci sono casi facili.
La funzione è definita su tutti i reali tranne zero. L’estensione del dominio non comporta problemi
ed è facile calcolarla anche con gli iperreali:
Per altre funzioni l’estensione non è così elementare: per esempio
che risultato dà
? E varrà ancora che
Oppure che:
?
Sarebbero tutte proprietà da ridefinire. Per non doverlo fare
ad ogni estensione, assumiamo che di ogni funzione esiste
l’estensione iperreale
, dove
è l’estensione iperreale di A e
.
Questo non implica il contrario: mentre esiste l’estensione iperreale
di ogni funzione standard f(x), non è detto che ogni funzione
iperreale sia il risultato di un’estensione iperreale.
Per es. la funzione iperreale “parte standard di x” () non ha una funzione corrispondente nei reali.
Infatti non esiste la parte standard di un numero reale. Il dominio della funzione “parte standard di x” è la galassia principale, che
non è l’estensione iperreale dell’insieme R (R ha come estensione
).
La funzione “parte standard” associa ad un numero finito la sua parte
non infinitesima:
.
Il grafico alla scala ordinaria di questa funzione sembra la retta
bisettrice del primo e terzo quadrante, ma è fatto da una successione
infinita di tratti orizzontali infinitesimi, perché la funzione è costante
su ogni monade.
E osserviamo inoltre che nel campo visivo di uno zoom non standard il grafico manca: la parte standard di un infinito non esiste.
Se potessimo ignorare l’esistenza degli infinitesimi, allora la parte
standard si comporterebbe come la funzione identica, perché st(7) = 7.
Ma in generale la funzione identica è diversa: nei reali associa a ogni numero se stesso, .
Nel piano cartesiano i valori di i(x) si valutano sull’asse Y, quindi
y = x, cioé la ben nota retta bisettrice.
Negli iperreali la funzione identica dà per esempio
. L’estensione iperreale di y = i(x) è l’identità iperreale
che associa ad
ogni iperreale se stesso. Il grafico di tale funzione è quello di fig.2: in qualsiasi scala (nella scala ordinaria, a infiniti ingrandimenti e anche a
distanza infinita) è la bisettrice del primo-terzo quadrante, come nel caso corrispondente reale.
Sui grafici¶
Quando mettiamo in grafico una funzione iperreale ci serviamo del piano dei numeri iperreali. Questo vuol dire che usiamo rette iperreali sia per l’ascissa che per l’ordinata. Quindi il piano iperreale è formato dai punti che sono in corrispondenza biunivoca con le coppie ordinate di numeri iperreali.
Riassumendo¶
Per risolvere i problemi presentati all’inizio del libro, si immagina che ogni funzione reale conosciuta abbia una corrispondente estensione iperreale, calcolata su un insieme che è anch’esso estensione iperreale del dominio della funzione originaria. Le funzioni così estese hanno le stesse proprietà delle loro corrispondenti reali. Esistono poi altre funzioni iperreali, come la funzione standard, che non sono estensione di una funzione reale. Si discute della diversità fra la funzione parte standard e la funzione identica. I grafici di tali funzioni si tracciano nel piano iperreale.
Complessi iperreali¶
I punti nel piano iperreale possono rappresentare numeri ipercomplessi, come punti o come vettori, esattamente come succede con i numeri complessi visualizzati nel piano reale. Ci chiediamo: quando un numero ipercomplesso è infinitesimo? Quando è infinito? E quando è finito non infinitesimo? (Mossi i primi passi, tralasceremo l’indicazione “iper” che è ovvia, e parleremo solo di complessi, parti reali e immaginarie, sottintentendo che si tratta di parti iperreali e iperimmaginarie)
Complessi infinitesimi¶
Proviamo a rappresentare nel piano ipercomplesso il punto
o il vettore
, corrispondenti a
.
Immaginiamo positivi tutti gli infinitesimi, per semplificare.
Nella scala ordinaria i punti (1, 0) e (0, 1) sono distinti dall’origine.
In questa scala nessun microscopio standard riesce a distinguere dallo zero il nostro numero. Dobbiamo applicare un microscopio non standard e regolare
l’ingrandimento fino a vederlo separato da 0, e questo avverrà sull’asse
orizzontale, perché la parte iperreale è infinitesima di ordine inferiore
rispetto alla parte iperimmaginaria.
Ora ci pare indistinto da
perché l’ingrandimento non è sufficiente a individuare l’infinitesimo di
ordine superiore, e lo stesso avviene applicando qualsiasi ulteriore microscopio standard. Con un secondo microscopio non standard, infine,
sarà possibile accorgersi che la parte immaginaria non è nulla.
Un punto del piano ipercomplesso infinitamente vicino all’origine corrisponde a un numero infinitesimo. Per essere infinitesimo avrà quindi infinitesime sia la parte (iper)reale che quella (iper)immaginaria.
Complessi infiniti¶
Rappresentiamo nel piano ipercomplesso il punto
o il vettore
, corrispondenti a
. Immaginiamo per semplicità che M e a siano positivi.
Per i nostri scopi lo zoom può risultare indatto. Infatti la caratteristica dello zoom è di abbracciare nello stesso campo visivo l’origine e un numero lontano, anche infinitamente lontano. Riducendo la scala di visualizzazione in questo modo, però, si rischia di rendere indistinguibili eventuali infiniti di ordine inferiore.
Con un telescopio non standard centriamo il campo visivo su M. Si presentano tre possibilità:
- La visualizzazione è sufficiente: il telescopio, che mostra alla scala ordinaria la zona del piano ipercomplesso nei pressi di M, visualizza già la parte iperimmaginaria distinta da quella iperreale.
- M + ia sembra coincidere con M: abbiamo bisogno di un microscopio standard per per distinguerli e individuare il punto.
- M + ia non si vede, perché si vede solo M. Per farlo rientrare nel campo visivo occorrerà applicare uno zoom standard.
Un punto del piano ipercomplesso infinitamente lontano dall’origine corrisponde a un numero complesso infinito. Per essere infinito avrà quindi infinite la parte reale, la parte immaginaria o entrambe.
Per essere finito non infinitesimo, un numero ipercomplesso deve avere la parte reale e la parte immaginaria finite e almeno una delle due non infinitesima.
Il modulo e il tipo di ipercomplesso¶
Per classifcare il tipo di complesso iperreale, è più facile riferirsi al suo modulo.
Un numero complesso è infinitesimo, infinito o finito non infinitesimo a seconda che sia di quel tipo il suo modulo.
- Se il punto corrispondente è interno a ogni circonferenza di centro l’origine e di raggio standard, allora il numero complesso è infinitesimo.
- Se il punto corrispondente è esterno a ogni circonferenza di centro l’origine e di raggio standard, allora il numero complesso è infinito.
- Se il punto corrispondente giace fra due circonferenze di centro l’origine e raggi standard, allora il numero complesso è finito non infinitesimo.
Riassumendo¶
Come per i complessi nel piano cartesiano dei reali, così anche gli ipercomplessi si rappresentano nel piano degli iperreali. E quindi avremo ipercomplessi infinitesimi, finiti non infinitesimi o infiniti a seconda delle loro parti (iper)reali e (iper)immaginarie, o più semplicemente, del tipo del loro modulo. La rappresentazione dei punti che corrispondono a questi numeri si fa nei modi già visti, con microscopi, telescopi e zoom.
Esercizi¶
- Visualizza nel piano ipercomplesso
- Visualizza nel piano ipercomplesso
La scatola più capiente¶
Per apprezzare l’efficacia del calcolo con gli iperreali consideriamo alcuni esempi. Sono problemi di ottimizzazione noti, che si risovono individuando una funzione opportuna e, grazie a questa, calcolando la soluzione utile. Perverremo a una soluzione esatta, usando microscopi telescopi e zoom.
La scatola ottimale¶
Abbiamo un cartone quadrato di lato un metro e vogliamo costruire una scatola senza coperchio tagliando quattro quadrati uguali nei vertici del cartone e poi sollevando i 4 rettangoli rimasti intorno alla base quadrata. Il problema è: ricavare la scatola che racchiude il volume massimo.
È immediato osservare che se il lato dei quadrati è molto piccolo, la scatola avrà un’area di base di poco meno di un metro quadrato, ma un’altezza molto piccola e quindi un volume piccolo. Ancora, se il lato dei quadrati è vicino al mezzo metro, la scatola verrà alta quasi mezzo metro, ma l’area di base sarà piccolissima e il volume sarà pure piccolissimo. È sensato dire che la misura del taglio, cioé il lato di un quadratino, sarà un numero fra zero e mezzo metro. Ma quale numero precisamente?
Se il problema fosse impossibile, ci si potrebbe avvicinare alla soluzione per via numerica, cioé per tentativi. Si immaginano varie misure del taglio, si calcolano di conseguenza i volumi, si confrontano i risultati, si sceglie il più utile. A mano sarebbe lungo e noioso, ma con un programma al computer non sarebbe né lungo né difficile e si approssimerebbe il risultato con precisione senza dubbio sufficiente.
Risolvo con gli iperreali e l’analisi¶
Tuttavia abbiamo la possibilità di ottenere la soluzione esatta con semplici
considerazioni geometriche e un po’ di analisi matematica. Poniamo che sia
x il lato del quadrato da ritagliare. Il volume si calcola allora con
(area di base per altezza). I valori di x,
prossimi a zero o a mezzo metro, daranno luogo a volumi praticamente nulli. Altre misure del taglio x produrranno invece volumi crescenti, fino a un massimo, oltre il quale i risultati diminuiscono. Il grafico approssimativo della funzione rappresenta questi ragionamenti. In linea puramente ipotetica i massimi potrebbero anche essere più di uno.
x è il numero che risolve il problema. In corrispondenza di x c’è il
punto di massimo. Per numeri prossimi a x (cioé che appartengono alla sua monade) i volumi saranno lievemente inferiori.
I tratti infinitesimi che compongono il grafico nelle diverse posizioni saranno variamente inclinati.
Ma se osserviamo il punto di massimo con un microscopio non
standard vediamo che lì il grafico è indistinguibile da un tratto orizzontale. Ricordiamo che essere indistinguibili ha per conseguenza
che nella scala in cui un segmento è visualizzato, un altro ipoteticamente diverso non può apparire distinto, perché differisce per infinitesimi di
ordine superiore. Quindi se ci spostiamo nella monade di x, per esempio a destra, in , anche lì visualizziamo un segmento orizzontale.
Come verificare questo attraverso il calcolo?
Data la funzione del volume , ne calcoliamo i valori in x e in
e quindi calcoliamo la loro variazione. Poi useremo gli indistinguibili:
La variazione di risultato dovuta a è:
Se il tratto è orizzontale, allora la variazione è esattamente nulla, quindi
Sappiamo (v. 9.4) che la somma di più infinitesimi è indistinguibile da quello di ordine inferiore, perciò l’equazione precedente si riduce a:
che può essere vera solo per .
Il secondo valore si scarta perché non è nell’intervallo delle possibili soluzioni. Quindi la scatola ottimale si costruisce eliminando dagli angoli
del foglio 4 quadretti di lato
rispetto al lato del foglio.
Risolvo con gli iperreali e la geometria¶
Si ottengono le stesse conclusioni immaginando l’aumento di volume che si
ottiene con un taglio di quadretti di lato , cioé più profondo di
rispetto al taglio precedente x.
Dopo la piegatura, la scatola risulta più alta e più stretta di base.
In altezza guadagna un volume pari a ma perde alla base 4 parallelepipedi di volume complessivo
.
Solo se stiamo raggiungendo il volume massimo, le variazioni di volume sono
pressoché nulle, cioé il nuovo volume è indistinguibile dal precedente.
Quindi possiamo pensare che valga:
che potremmo riscrivere, facendo uso degli indistinguibili:
Avendo detto che , si può semplificare l’equazione e
si ottiene:
da cui la soluzione.
Il percorso minimo¶
Il secondo esempio è un problema classico, brillantemente risolto da Erone. Noi ricaveremo la souzione esatta usando gli infinitesimi e visualizzandola con i microscopi.
Il problema¶
Trova il tragitto minimo per andare da A a B toccando una volta la retta.
Da un primo esame risulta ovvio che i tragitti APB sono minori se P appartiene al segmento CD, che ha per estremi le proiezioni di A e di B sulla retta.
Infatti nella figura 1 è facile confrontare AP con AC e PB con BC nel primo disegno, e analogamente nel secondo disegno della figura 1. Meno facile è indicare quale sia la migliore posizione di P all’interno del segmento CD, anche se è chiaro che se si trovasse agli estremi il percorso non sarebbe il minimo (figura 2).
La soluzione geometrica¶
Una soluzione semplice ed elegante ci viene dalla geometria
Se costruiamo un triangolo PDB’ simmetrico di PDB rispetto alla retta, abbiamo che PB = PB’. Quindi possiamo analizzare la lunghezza del percorso AP + PB’ al posto di AP + PB, perché si tratta di due spezzate di uguale misura. Ora, fra tutte le spezzate possibili APB’, quella più breve è il segmento AB’: l’intersezione X fra il segmento e la retta è la posizione cercata. La caratteristica di questa posizione è che gli angoli disegnati in X sono tutti uguali. Quindi la soluzione è: il punto X sulla retta è tale da formare angoli uguali fra la retta e i due segmenti che formano la spezzata AXB.
La soluzione analitica¶
Se potessimo mettere in grafico la funzione che descrive la lunghezza del percorso APB, potremmo vedere che la funzione ha il valore minimo in corrispondenza del punto X ottimale, perché ogni altro percorso è maggiore.
Puntando un microscopio non standard su X (ancora non calcolato), vediamo che il grafico appare nel campo visivo come un segmento orizzontale. Nella monade di X, qualsiasi altro punto X’ genera una misura della spezzata (e quindi un punto del grafico) diversa per ordini di grandezza superiori alla differenza XX’, quindi indistinguibile da quella calcolata per X. Possiamo perciò assumere che la differenza fra le lunghezze delle due spezzate AXB e AX’B sia nulla.
Approfondiamo il dettaglio ingrandendo la posizione di X in modo che sia distinto da X’. Nel campo visivo avremo coppie di segmenti indistinguibili da segmenti paralleli (AX con AX’ e BX con BX’). In realtà non sono paralleli, ma la differente inclinazione non risulta a questa scala di ingrandimento. Se vale il parallelismo, siamo nella condizione di minimo percorso, perché i triangoli XX’Y e XX’Y’ sono congruenti, quindi il tratto in più del segmento AX’ uguaglia il tratto in più del segmento XB. Inoltre, sempre per il parallelismo, sono congruenti gli angoli che si trovano sulla retta, con vertice X e X’.
La riflessione della luce¶
Al posto di questi angoli, si possono considerare quelli formati dalla normale in X con i due segmenti AX e BX, che sono congruenti in quanto complementari degli angoli precedenti. In questa descrizione, se r rappesenta una superficie riflettente e la spezzata rappresenta il percorso di un raggio luminoso, ecco che abbiamo ricavato la legge della riflessione nell’ottica geometrica.
In questo modo possiamo concludere che il raggio di luce nella riflessione percorre il cammino minimo.
Il percorso più rapido¶
Risolviamo un ultimo problema, affrontando ancora una volta questioni geometriche e infinitesimali, che ci permetteranno di giustificare un’altra legge della fisica.
Da A a B nel tempo più breve¶
Questa volta la retta orizzontale deve essere attraversata per poter raggiungere B partendo da A. La complicazione è che, oltrepassando la retta, si è costretti a una velocità diversa. In pratica:
Bisogna trovare il percorso che minimizzi il tempo nell’andare da A a B.
Nel problema del capitolo precedente non c’era la complicazione della velocità: tutto si svolgeva istantaneamente. Quando la velocità è costante, il percorso di tempo minimo è senz’altro il tratto più breve: un segmento AB che attraversa la retta in un punto E, all’intersezione fra il segmento e la retta.
Nelle nuove condizioni, però, il segmento AB non è sicuramente la soluzione ottimale. Infatti è conveniente che la parte più breve del percorso si trovi nel semipiano più lento, anche a costo di spezzare il segmento in due tratti disuguali. Occorre cercare P, il punto “di equilibrio” sulla retta, che pur allungando i due tratti della spezzata, lo fa in modo che il tempo perso a percorrere la parte più lenta si recuperi al meglio nella parte più veloce. Abbiamo la possibilità di costruire la soluzione esatta ricorrendo all’analisi.
Risolvo con gli iperreali e la geometria¶
Immaginiamo che nella parte superiore del disegno la velocità sia sia nella parte inferiore e sia
;
per il resto seguiamo i ragionamenti del problema precedente.
Un punto X sulla retta, diverso da P, darà luogo a un tempo di percorrenza diverso. Continuando a “muovere” X sulla retta i tempi totali cambiano, trovano il valore minimo e poi aumentano. Il grafico che ne deriva è simile a quello del problema precedente.
Fermiamoci dove immaginiamo che X rappresenti la posizione cercata. Allora un punto X’ infinitamente vicino darà luogo ad un tempo diverso da quello calcolato per X, ma solo per infinitesimi di ordine superiore e quindi un tempo indistinguibile.
Puntiamo su X il microscopio non standard e ingrandiamo fino a vedere distinti X e X’. Se i tempi dei due percorsi sono indistinguibili, allora i segmenti su X e X’ provenienti da A e da B saranno indistinguibilmente paralleli.
AX e AY sono tratti uguali, percorsi nello stesso tempo, mentre X’Y
è il segmento che causa ritardo nel percorrere AX’, rispetto a AX. Si tratta di un ritardo infinitesimo, calcolabile in .
Perché i due percorsi AB avvengano indistinguibilmente nello stesso tempo,
occorre che tale ritardo sia compensato, andando verso B, dal ritardo
dovuto al tratto XY’ sul segmento XB, più lungo rispetto a X’B.
Ricaviamo quindi
.
Il rapporto fra gli angoli fissa univocamente l’inclinazione dei segmenti rispetto alla retta e di conseguenza fissa il punto ottimale X. Quindi la soluzione è: Il percorso più rapido è una spezzata fatta da due segmenti AX e XB. I coseni degli angoli in X, fra i due segmenti e la retta, sono direttamente proporzionali alle velocità di percorrenza dei due tratti.
La rifrazione della luce¶
Si può riscrivere la soluzione considerando gli angoli
complementari di
, cioé considerando gli angoli che i due
segmenti formano con la normale alla retta nel punto X .
Allora la relazione diventa:
Se pensiamo alla situazione fisica di un raggio luminoso che attraversa la superficie di separazione (la retta) passando per due mezzi con diversa densità, la legge individuata è la legge di Snell per la rifrazione e l’ultimo rapporto è detto indice di rifrazione fra due mezzi. Concludiamo quindi che il raggio luminoso in questa situazione non percorre il cammino più breve, ma quello più rapido.
Glossario¶
Estensione iperreale di una funzione standard Estensione di una funzione standard, definita sull’estensione iperreale del suo dominio.
Estensione iperreale di un insieme di numeri standard Insieme associato a ogni insieme standard e formato dai numeri iperreali che soddisfano le stesse condizioni che definiscono l’insieme dato.
Funzione standard Funzione definita su un insieme di numeri reali a valori reali.
Galassia Insieme di numeri a distanza finita tra loro. La galassia di un numero x, indicata con Gal (x) , è l’insieme dei numeri a distanza finita da x.
Galassia principale Galassia dello zero, che coincide con l’insieme dei numeri finiti.
Microscopio non-standard Strumento ottico ideale che, puntato sulla retta o sul piano o nel campo visivo di un altro strumento ottico, fornisce un’immagine ingrandita un numero infinito arbitrario di volte.
Microscopio standard Strumento ottico ideale che, puntato sulla retta o sul piano o nel campo visivo di un altro strumento ottico, fornisce un’immagine ingrandita un numero finito arbitrario di volte.
Monade Insieme di numeri infinitamente vicini tra loro.
Monade principale Monade dello zero, che coincide con l’insieme dei numeri infinitesimi.
Numero finito Numero in valore assoluto minore di almeno un numerostandard positivo e abbreviato con f.
Numero finito non infinitesimo Numero in valore assoluto compreso tra due numeri standard positivi, abbreviato con fni e indicato con una lettera latina minuscola.
Numero infinitesimo Numero in valore assoluto minore di ogni numero standard positivo, abbreviato con i.
Numero infinitesimo non nullo Numero infinitesimo diverso da zero, abbreviato con inn e indicato con una lettera greca minuscola.
Numero infinito Numero in valore assoluto maggiore di ogni numero standard positivo, abbreviato con I e indicato con una lettera latina maiuscola.
Numero iperintero Numero che appartiene all’estensione iperreale dell’insieme dei numeri interi standard.
Numero ipernaturale Numero che appartiene all’estensione iperreale dell’insieme dei numeri naturali standard.
Numero iperreale Numero che appartiene all’estensione dei numeri reali che si ottiene aggiungendo un infinitesimo positivo ed estendendo le operazioni.
Numero standard Numero reale
Parte infinitesima A ogni numero finito viene associata la sua parte infinitesima, che è la differenza tra il numero e la sua parte standard.
Parte standard Unico numero standard infinitamente vicino a un numero finito.Segmento finito Segmento minore di almeno un segmento standard
Segmento finito non infinitesimo Segmento compreso tra due segmenti standard
Segmento infinitesimo Segmento minore di ogni segmento standard
Segmento infinito Segmento maggiore di ogni segmento standard
Segmento standard Segmento la cui misura è espressa da un numero reale
Telescopio non-standard Strumento ottico ideale che fornisce un’immagine di una porzione a distanza infinita di retta o di piano o del campo visivo di un altro strumento ottico nella stessa scala della porzione vicina.
Telescopio standard Strumento ottico ideale che fornisce un’immagine di una porzione a distanza finita di retta o di piano o del campo visivo di un altro strumento ottico nella stessa scala della porzione vicina.
Zoom standard Strumento ottico ideale che, puntato di solito sull’origine della retta o del piano o del campo visivo di un altro strumento ottico, fornisce un’immagine rimpicciolita un numero finito arbitrario di volte.
Zoom non-standard Strumento ottico ideale che, puntato di solito sull’origine della retta o del piano o del campo visivo di un altro strumento ottico, fornisce un’immagine rimpicciolita un numero infinito arbitrario di volte.
Il calcolo differenziale¶
Introduzione¶
Questo testo è costruito partendo dal libro di Giorgio Goldoni “Il calcolo delle differenze e il calcolo differenziale”.
Sito di riferimento:
Pagina facebook: <www.facebook.com/pages/Il-professor-Apotema/344320422244703>
I libri del prof. Apotema: <ilmiolibro.kataweb.it/community.asp?id=104013>
Una premessa sul calcolo infinitesimale¶
Il calcolo che presentiamo ha innumerevoli applicazioni in tutti i rami della scienza. Per capirne gli scopi essenziali, facciamo un esempio fra i più facili e comuni. Sul cruscotto di un’automobile possiamo leggere i valori indicati da due strumenti: il tachimetro e il contachilometri. Il tachimetro, indicando istante per istante la velocità del moto, risolve un problema tipico del calcolo infinitesimale: conoscere la rapidità di variazione di una grandezza, in questo caso la rapidità con cui l’auto ha guadagnato spazio nel trascorrere del tempo. Il contachilometri indica la distanza percorsa fino a quel momento. Nell’automobile la distanza viene calcolata attraverso misure indirette del movimento delle ruote. Se il contachilometri mancasse, avremmo il problema di ricostruire la distanza percorsa, conoscendo istante per istante le diverse velocità con cui l’auto avanzava. Dunque i due problemi fondamentali del calcolo infinitesimale sono
- Data una funzione, conoscere la rapidità delle sue variazioni
- Dato l’insieme delle variazioni, ricostruire la funzione.
Questa dispensa si concentra sul primo problema e il calcolo che lo risolve si chiama:
- calcolo differenziale, se riferito alle funzioni a dominio continuo, cioé il cui dominio è un intervallo della retta reale;
- calcolo delle differenze, se riferito alle funzioni a dominio discreto, che cioé hanno per dominio l’insieme dei valori di una successione crescente di numeri reali.
Le successioni e le differenze¶
Funzioni a dominio discreto e successioni¶
Una funzione a dominio discreto
è una funzione il cui dominio è un insieme di valori distinti,
che la variabile x assume senza variare con continuità fra l’uno e l’altro.
In generale i valori di tale funzione (e quindi il codominio) saranno numeri reali.
Il suo grafico nel piano cartesiano è dato da punti distinti
dove
.
Le successioni sono particolari funzioni a dominio discreto, nel senso che il loro dominio
è dato dagli indici, che formano un intervallo anche infinito di numeri interi.
I punti dei loro grafici avranno quindi coordinate e saranno distribuiti con regolarità, perché la distanza orizzontale fra l’uno e l’altro
è unitaria: corrisponde alla differenza fra due indici consecutivi.
Una successione (e in generale una funzione a dominio discreto) si indica
in modo diverso dall’insieme
dei suoi valori.
Per distinguere i due significati, consideriamo le due successioni
e
: sono generate da regole diverse ma
hanno lo stesso insieme di valori
.
Le due regole sono:
e
Differenze e tasso di variazione¶
Nella tabella consideriamo una successione , i cui 10 termini crescono da 2 fino a 9 e poi calano a 6.
Si possono valutare le differenze fra un termine e il successivo con facili sottrazioni.
Le differenze sono espresse nella terza riga della prossima tabella , dove si vede che per ogni k
, cioè la differenza relativa al termine k-esimo
si calcola partendo dal termine successivo.
In questo modo si noti che se la successione non ha infiniti termini, il numero delle differenze è uno di meno rispetto al numero dei termini.
L’andamento dei termini può essere visualizzato da un semplice grafico:
Le le osservazioni importanti sul grafico sono due:
- La linea spezzata che unisce i punti è disegnata per pura comodità di lettura, ma non dovrebbe esserci, perché la successione non ha valori da rappresentare fra i punti disegnati
- Le colonne hanno pari larghezza (la base delle colonne misura 1) e per questo le differenze
corrispondono al tasso di variazione fra un punto e l’altro.
Come vedremo in seguito, nel caso generale di una funzione a dominio discreto
il tasso di variazione non si calcola con la semplice differenza , mentre questo
calcolo è sufficiente per le successioni. Lo si può vedere dal grafico: infatti qui le colonne
hanno uguale base e quindi solo la loro differente altezza influisce sulla pendenza del segmento
che unisce due punti consecutivi, nel senso che un
maggiore produce
inevitabilmente una pendenza maggiore. La pendenza è l’equivalente grafico del tasso di variazione.
I fattoriali decrescenti¶
Alcune utili regole sui rapporti incrementali discendono dall’utilizzo di un particolare tipo di prodotto fattoriale.
Sappiamo già che il fattoriale di n è , cioè il prodotto di un numero per tutti i suoi precedenti.
Si può limitare il prodotto a p fattori. Allora la nuova funzione si chiama fattoriale
decrescente di ordine p del numero k:
. Ecco alcuni esempi
, ma:
.
, ma
Quindi, in generale: . Per avere almeno due fattori, si intende generalmente
p>1, ma è possibile ricavare il risultato anche in situazioni meno ovvie.
Prima di tutto è ovvio che p non è un esponente. È chiaro anche che se p=k, allora e se invece p>k allora risultato è nullo.
Ricaviamo una formula. Poniamo k=10 e p=3.
.
Da questo esempio e da altri calcoli analoghi che puoi sviluppare per esercizio,
si intuisce che vale una regola importante:
.
Se applichiamo la regola a ricaviamo
.
In modo facile si può verificare anche
Quanto a k, se k è un intero negativo, la regola non cambia. Esempio:
Un esempio per k razionale:
Calcoli di differenze¶
Differenze per la successione quadratica¶
Della successione: , con
(oppure,
che è lo stesso, della successione
)
calcoliamo la decima differenza
. Ci sono due modi, quello che risolve
il caso particolare e quello che scrive prima la formula generale e poi la applica.
, oppure
che nel caso specifico vale
.
Il secondo modo è più significativo, perché indica una regola generale: la differenza fra due quadrati consecutivi è il successivo del doppio del primo ed è sempre dispari.
Differenze per la successione dei reciproci¶
Calcoliamo la formula generale di e verifichiamo il risultato per k=8.
che se k=8 risulta
Per via diretta si verifica il risultato facilmente. Le differenze della successione dei reciproci saranno tutte negative, dato che
Differenze di fattoriali decrescenti¶
Riassumiamo i calcoli e gli esempi per capire come si comportano le differenze nelle successioni dei fattoriali decrescenti:
p | ![]() |
![]() |
---|---|---|
0 | ![]() |
![]() |
1 | ![]() |
![]() |
2 | ![]() |
![]() |
3 | ![]() |
![]() |
... | ... | ... |
p | ![]() |
![]() |
L’ultima formula della tabella ci dà quindi la regola:
Differenze nelle progressioni geometriche¶
Fissiamo come primo esempio la progressione di ragione 2: .
Il termine generale della progressione esprime quindi anche le sue differenze. Vediamo ora
altre successioni con termini esponenziali e le loro differenze.
Riassumendo¶
- Le successioni e le funzioni a dominio discreto sono funzioni a valori distinti e il loro grafico è una successione di punti nel piano cartesiano.
- I segmenti che li uniscono hanno una pendenza che corrisponde al tasso di
variazione, un numero che si calcola attraverso una nuova funzione:
il cosiddetto rapporto incrementale
.
- Diamo una sintesi dei casi notevoli di
![]() |
![]() |
---|---|
![]() |
1 |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
Esercizi¶
- Calcola le differenze
della successione
.
- Calcola nei due modi la differenza
della successione
con
.
- Calcola la quinta differenza della successione dei numeri pari. È un risultato particolare o generale?
- Calcola la formula generale di
- Trova i risultati per due fattoriali decrescenti a tuo piacere: se k è un intero negativo e se k è un razionale qualsiasi.
- Giustifica la regola dei fattoriali decrescenti esplicitando la formula.
- Mediante la stessa regola calcola
- Estendi a indici negativi i fattoriali decrescenti. Calcolando
giustifica la formula generale
(p si intende positivo).
- Aggiungi alcune righe alla tabella dei fattoriali decrescenti e calcola le differenze
e
in modo da giustificare la formula generale.
- Fissa successivamente k= -4, -3, -2, -1, 0, 1, 2, ... e calcola i valori
.
L’algebra delle differenze¶
Immaginiamo la successione: . Come calcolare
?
La tabella conclusiva del capitolo precedente ci mette in grado di calcolare
singole parti dell’espressione, ma non il suo insieme. Infatti mancano le regole
per esprimere, fra le altre, la differenza o il prodotto di successioni.
Ce ne occupiamo nelle prossime righe, iniziando dai casi più semplici.
- Se una successione è costante, le sue differenze sono tutte nulle.
Infatti per
con
, allora
.
- Se una successione si ricava da un’altra moltiplicando per una costante c
i termini di quest’ultima, in modo da ottenere
, allora le sue differenze saranno:
.
- Se invece la successione si ottiene dalla somma o differenza di altre due,
allora si avrà:
.
Il caso del prodotto di due successioni è meno diretto ed occorre un esempio geometrico per illustrarlo.
e
sono le misure
dei due lati del rettangolo in figura, la cui area misura
.
Passando dall’indice k all’indice k+1, le dimensioni si incrementano di
e
.
L’incremento di area, cioé
(la parte colorata)
è dato da 3 rettangoli di area complessiva pari a:
e questo è il
risultato. La somma si può ridurre a due soli addendi, se scritta in uno dei
modi seguenti:
- Se una successione si ottiene dal prodotto di due successioni, la differenza sarà:
La formula vale anche per numeri negativi, come dimostra lo sviluppo algebrico (v. esercizi).
Anche per la differenza del quoziente è meglio ricorrere ad un esempio geometrico,
accettando il vincolo di operare solo con numeri positivi. Questa volta
rappresenta l’area del rettangolo di base
.
rappresenta l’incremento di area, quindi la parte colorata (gnomone).
L’altezza della figura è .
L’ultimo termine è l’altezza della fascia orizzontale superiore. Questa si ottiene
sottraendo dallo gnomone il rettangolo basso a destra.
In formula questa differenza è:
La differenza, riscritta col denominatore comune, va poi divisa per la base, in modo
da ottenere l’altezza. Alla fine si ha la regola:
- Se una successione si ottiene dal rapporto fra due successioni, la diffferenza sarà:
Un esempio¶
Riprendiamo l’esercizio iniziale del capitolo e svolgiamolo. Ricordando i
fattoriali decrescenti, riscriviamo:
. Quindi:
.
Riassumendo¶
Oltre alle formule per calcolare le differenze fondamentali, occorrono le regole di composizione per poter risolvere espressioni con somme, prodotti, ecc.
Differenza di | Risultato |
---|---|
funzione costante ![]() |
0 |
prodotto per una costante ![]() |
![]() |
somma algebrica ![]() |
![]() |
prodotto ![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
rapporto ![]() |
![]() |
Esercizi¶
- Sviluppa algebricamente il prodotto
e ricostruisci la regola.
- Calcola la differenza
- Calcola la differenza
- Calcola la differenza
Le funzioni e il rapporto incrementale¶
Rapporto incrementale in funzioni a dominio discreto¶
Una funzione a dominio discreto in generale è diversa da una successione perché il suo dominio è una successione crescente qualsiasi, quindi non è detto che sia esclusivamente la successione degli indici.
L’esempio seguente illustra una funzione a dominio discreto . La scrittura
, (anziché k come sarebbe per una successione) ci dice che il dominio è
una successione crescente di interi e la tabella che rappresenta la funzione ha 3 righe:
gli indici, i valori del dominio e i valori del codominio.
Se si vogliono valutare i tassi di variazione, le sole differenze dei valori
non bastano, perché vanno valutate in rapporto alle differenze
che sono relative ad esse. Graficamente: la diversa altezza delle colonne nel grafico va considerata in rapporto alle diverse basi.
Per esempio
e
, ma la prima differenza dà luogo
ad un tasso di variazione minore, perché va rapportata alla differenza
, mentre
si mette in rapporto con
.
Il rapporto fra le differenze è proprio il calcolo che consente di ottenere il tasso
di variazione ed è un calcolo così importante da meritare un nome specifico: rapporto incrementale e una scrittura particolare: .
In pratica il risultato si ottiene calcolando
.
si dice rapporto incrementale relativo all’indice k. Analogamente alla differenza nelle
successioni, il rapporto incrementale graficamente
corrisponde alla pendenza del segmento che unisce il punto di ordinata a
con quello
di ordinata a
.
Un esempio¶
Immaginiamo e
per
e calcoliamo
.
- Calcolo diretto:
- Dal generale al particolare:
. La formula generale consente il calcolo di qualsiasi differenza, quindi, per k=4 si ha
.
Si noti che nel secondo caso si calcola sulla base di quanto visto a proposito delle differenze.
Regole di calcolo del rapporto incrementale¶
Siamo quindi ad un punto importante, che vale come regola generale: il rapporto incrementale nelle
funzioni a dominio discreto si calcola utilizzando le formule dei capitoli precedenti e dividendole
per . Dalle stesse formule derivano le regole seguenti:
Rapporto incrementale in funzioni a dominio continuo¶
Nelle successioni e in generale nelle funzioni a dominio discreto l’incremento si calcola variando
l’indice k: . Nelle funzioni a dominio continuo l’indice non esiste
e quindi non c’è un intervallo prestabilito della variabile per calcolare l’incremento della funzione.
Chiamando
l’incremento della variabile
possiamo dare la seguente definizione.
Sia , definiamo l’incremento di f relativo al punto x
e all’incremento h:
, con
.
Possiamo così definire anche il rapporto incrementale della funzione, relativo al punto x e
all’incremento h: . Il rapporto ha il significato geometrico della pendenza della retta che passa per i punti
ed è il tasso medio di variazione della funzione fra i due punti.
Possiamo pensare ad un’analogia cinematica, se interpretiamo
come la posizione all’istante
di un punto che si muove su una
retta, allora la differenza
rappesenta lo spostamento del
punto fra l’istante
e l’istante
e il rapporto incrementale
rappresenta la velocità media relativa all’istante
e alla durata
.
Note
La definizione di rapporto incrementale vale anche se l’incremento è . In questo caso per
la differenza di f(x) si ha
. E per la differenza di x:
. Per cui il rapporto incrementale è
.
Rapporto incrementale di funzioni note¶
Funzione identica¶
Se allora
, cioè l’incremento della
funzione è uguale all’incremento della variabile, quindi il loro rapporto vale 1.
Come si vede anche dal grafico, il rapporto incrementale è il coefficiente angolare del segmento
che unisce i due punti, che in questo caso non è secante al grafico della funzione, ma gli appartiene.
Il fatto che ci permette di usare d’ora in poi
al posto di h
Funzione quadratica¶
Se , allora
. Il disegno illustra le tre parti di cui si compone l’incremento di area
di un quadrato, analogamente a quanto già visto per
. Di conseguenza:
Note
!!
Funzione cubica¶
Con la stessa tecnica e aiutandosi con il disegno che si riferisce all’incremento di volume di un cubo,
si può calcolare e il relativo rapporto incrementale.
. Si ha così rapporto il incrementale :
.
Funzione radice quadrata¶
Dalla definizione di differenza: , da cui è facile ricavare il rappporto incrementale. Tuttavia più avanti ci sarà utile riscrivere la differenza come una frazione da razionalizzare:
.
Da qui segue:
.
Funzione seno¶
Immaginando che x e , con
, siano angoli del primo quadrante, si consideri nel disegno il triangolo rettangolo ABC. L’angolo acuto in B è congruente con l’angolo
, perché i suoi lati AB e BC sono perpendicolari a OM e OA’.
Quindi
. Ma le due metà di AB valgono ciascuna
, e BC = BB’-AA’
, quindi in conclusione:
. Per cui il rapporto incrementale sarà:
Funzione coseno¶
Per la dimostrazione si fa riferimento ad una figura analoga alla precedente, tenendo conto però
che questa volta il segmento che interessa è il lato AC = A’B’. La sua misura è
e, pur essendo nel primo qudrante, è una misura negativa perché
. Abbiamo che
. Riferendoci anche ai calcoli fatti per il seno per ricavare AB, alla fine vediamo che
, da cui
Note
Per dimostrare la formula della differenza per il seno e per il coseno anche con x e negativi, si sviluppa la definizione di differenza e si usano le formule di prostaferesi.
Regole di calcolo del rapporto incrementale¶
Ricordando le regole già viste per le funzioni a dominio discreto, abbiamo le regole di calcolo seguenti:
Esercizi svolti¶
Calcoli diretti¶
Si risolvono con la calcolatrice senza fare uso delle formule.
Calcolare
.
Basta esplicitare le definizione
Calcolare
.
I calcoli diretti sono sempre possibili se le funzioni coinvolte si trovano sulla calcolatrice. Non essendoci dati incogniti, è facile anche calcolare il rapporto incrementale.
Problema 1¶
Un cerchio di raggio viene ingrandito fino a che la sua area aumenta di
.
Di quanto aumenta il suo raggio?
Mettiamo in relazione l’area e il raggio e calcoliamo le differenze. La funzione è .
La sua differenza è
.
Cioé:
Inserendo i dati diventa , che è un’equazione di secondo
grado nell’incognita
. Consideriamo solo la soluzione positiva e troviamo con l’aiuto della calcolatrice:
Si tratta di un problema tipico, cioé di un problema nel quale viene fornito il valore di
e viene richiesto di calcolare
tramite l’equazione
.
Nel problema proposto la soluzione è semplice, ma non lo è in generale e per raggiungerla occorre fare
ricorso a tecniche di approssimazione che saranno spiegate più avanti.
Problema 2¶
Si vuole aumentare di la superficie di un triangolo con i lati a=5cm, b =8cm,
angolo compreso
. Di quanto deve aumentare l’angolo
?
Anche in questo problema c’è una formula diretta che lega l’area all’angolo:
. Utilizzando le regole note per le differenze, ricaviamo:
Inserendo i dati, l’equazione diventa:
La formula generale è .
L’esistenza della formula che lega direttamente le due variabili
facilita enormemente la soluzione, che altrimenti richiederebbe tecniche molto più sofisticate.
Ripetiamo infatti che se l’equazione è non è per nulla scontato risalire
al valore utile
a partire dal valore conosciuto di
.
Riassunto¶
- Il rapporto incrementale serve a calcolare il tasso di variazione della funzione fra due suoi valori.
- Graficamente corrisponde alla pendenza del segmento che unisce i due punti
di ascissa x e
.
- Il rapporto incrementale si calcola come rapporto fra l’incremento della funzione e l’incremento della variabile e ha due formulazioni diverse se la funzione è a dominio continuo o a dominio discreto.
- Dopo avere imparato a calcolare questo rapporto nel caso di funzioni elementari, per passare a funzioni composte occorre conoscere le regole che consentono di applicare il rapporto incrementale a somme, prodotti, quozienti ecc.
- La tecnica di calcolare le differenze è immediatamente risolutiva nei problemi in cui una formula fornisce il legame diretto fra due variabili.
Esercizi¶
#. Ricava algebricamente le regole di calcolo del rapporto incrementale nelle fu nzioni a dominio discreto,
partendo dalla definizione di rapporto incrementale e utilizzando le formule sulle differenze.
- Spiega la nota del paragrafo 5.5.2, chiarendo perché se
- Verifica che
- Verifica che
- Verifica che
- Segui i suggerimenti della nota al paragrafo 5.5.5 e dimostra le formule delle differenze per il seno e per il coseno.
- Calcolare
- Calcolare
- Calcolare
- Un rombo ha una diagonale di 10 cm. Di quanto occorre allungare l’altra diagonale perché la sua
superficie aumenti di 0.2
?
- Un triangolo equilatero ha l’altezza di 10 cm. Di quanto occorre allungarla perché il suo perimetro aumenti di 8 cm?
Il differenziale¶
Introduzione¶
Il tasso medio di variazione di una funzione, relativamente a un intervallo del suo dominio, non dà informazioni sulle variazioni puntuali della funzione nell’intervallo considerato.
Per le funzioni a dominio discreto, che non hanno valori fra due punti distinti successivi, il problema delle informazioni mancanti sulle variazioni all’interno dell’intervallo fra i due punti non si pone. Invece, per le funzioni a dominio continuo il tasso di variazione si può ricercare anche per intervalli molto piccoli del dominio, anche infinitamente piccoli, dato che il dominio è continuo.
Ecco quindi che per avere informazioni sul comportamento puntuale di una funzione a dominio continuo considereremo distanze infinitesime e differenze infinitesime e torneremo ad usare i numeri iperreali.
Funzioni continue¶
Consideriamo l’incremento relativo a un incremento infinitesimo
.
In generale, non è detto che anche
sia infinitesimo.
Nel disegno, la funzione ha una discontinuità in x=0 per positivo, perché
salta improvvisamente dal valore 0 al valore 1. Eppure si tratta di una funzione a dominio
continuo, cioé definita per ogni valore di x, anche quelli prossimi a 0. La sua espressione analitica è
Una funzione di questo tipo si dice discontinua. Al contrario, si dice continua una funzione che ha incrementi infinitesimi dei suoi valori in corrispondenza di incrementi infinitesimi della variabile. Per esprimersi con precisione:
- Una funzione a dominio continuo
si dice continua nel punto
se per ogni infinitesimo
si ha che
o, in modo equivalente, se per
si ha che
.
Diciamo allora che x è un punto di continuità per f. Intendiamo anche che f è continua in un intervallo se tutti i punti dell’intervallo sono di continuità per f.
Differenziale¶
Dunque, per le funzioni continue, a incrementi infinitesimi di x corrispondono incrementi
infinitesimi di f(x).
Per distinguere gli incrementi infinitesimi dagli incrementi standard, useremo
il termine differenziale invece di differenza e useremo la lettera
invece della lettera
.
- Il differenziale della funzione continua f nel punto x, relativo all’incremento infinitesimo
è il numero infinitesimo
.
Nella lettura, df(x) si legge “de effe di x” e la parola differenziale sta per “differenza infinitesimale”. Seguono i primi semplici esempi di calcolo.
Differenziale della funzione identica¶
Il più semplice differenziale è quello della funzione identica ,
per la quale
.
Quindi potremo scrivere dx invece di
, per indicare l’incremento infinitesimo di x.
Di conseguenza, nell’espressione di un qualsiasi altro differenziale,
al posto di
potremo scrivere
.
Differenziale della funzione quadrato¶
.
L’ultimo addendo è un infinitesimo di ordine superiore e si può trascurare. Quindi:
.
Si arriva allo stesso risultato in modo più diretto, utilizzando le formule già
viste per le differenze, sostituendo dx al posto di e eliminando gli infinitesimi di ordine superiore. Come negli esempi successivi.
Differenziale della funzione cubo¶
.
Differenziale della funzione reciproca¶
.
Parte principale del differenziale¶
Come si vede dai primi esempi, dopo aver sostituito banalmente d al posto
di per calcolare il differenziale di una funzione partendo
dall’espressione della sua differenza, si rende più agile il risultato eliminando infinitesimi di ordine superiore. La parte che resta si chiama parte principale.
C’è una regola per scegliere la parte principale di df(x) rispetto a dx?
In generale, dati due infinitesimi , dire che
è dello stesso ordine di
significa che
,
dove a è un finito non infinitesimo. Ne consegue che
.
Al posto di a potremmo scrivere qualsiasi altro numero indistinguibile da a, senza cambiare significato al confronto. Tutti questi fra loro indistinguibili
hanno la stessa parte standard s, per cui esiste un unico numero standard s tale che
.
è la parte principale
dell’infinitesimo
rispetto all’infinitesimo
.
La parte principale vale zero nel caso che
sia di ordine
superiore rispetto a
.
I tre ultimi esempi di calcolo del differenziale rendono evidente la scelta della parte principale del risultato.
Regole di calcolo¶
Il calcolo del differenziale di una funzione, composta grazie a operazioni fra due funzioni, ha le stesse regole viste per il calcolo delle differenze. Ora però avremo espressioni più semplici, perché alla fine sceglieremo la parte principale del risultato. Queste le prime regole:
Per chiarire la regola del prodotto, ancora una volta possiamo ricorrere alla geometria.
Rappresentiamo il prodotto fra due funzioni, che nel disegno misurano le dimensioni di un rettangolo. L’incremento differenziale di area avrà ad un vertice un incremento rettangolare trascurabile, perchè infinitesimo di ordine superiore rispetto alle due strisce (superiore e laterale). Quindi nella quarta regola utilizzeremo l’espressione finale, indistinguibile dalla precedente.
L’ultima regola, del rapporto, viene dal fatto che g(x) è una funzione continua e quindi si può utilizzare l’ultima espressione al posto di quella esatta, indistinguibile.
Riassunto¶
- Il fatto che il dominio delle funzioni sia continuo permette di definire l’incremento infinitesimo di x (dx), infinitesimo non nullo.
- Se anche la funzione è continua, allora all’incremento infinitesimo della variabile è associato anche l’incremento infinitesimo della funzione: il suo differenziale df(x).
- Come per le differenze, i differenziali vengono espressi per le funzioni più semplici e si danno le prime regole di calcolo per le operazioni fra funzioni.
- La possibilità di usare quantità infinitesime ci riconduce ai numeri iperreali e si dimostra, attraverso l’uso delle parti principali, che è possibile trascurare gli infinitesimi di ordine superiore, ottenendo così espressioni più semplici rispetto a quelle delle differenze.
Esercizi¶
La derivata: definizione e prime regole di derivazione¶
Introduzione¶
Consideriamo l’informazione che otteniamo da un valore di velocità media fra due istanti di tempo: si tratta di un’informazione sulla media, cioé senza dettagli sulle variazioni di velocità che possono essere avvenute durante quel periodo di tempo. Per queste informazioni più puntuali dovremmo poter suddividere l’intervallo di tempo in periodi molto piccoli, in frazioni di secondo sempre minori. La velocità media relativa al periodo fra due istanti di tempo così vicini da quasi coincidere viene detta velocità istantanea, ed è quella indicata da un tachimetro.
Abbiamo già considerato, nel capitolo precedente, che il tasso medio di variazione di una funzione, relativamente a un intervallo del suo dominio, non dà informazioni sulle variazioni puntuali della funzione nell’intervallo considerato.
Questo capitolo si concentra sul modo migliore che consente di arrivare al tasso di variazione di una funzione continua, analogo alla ricerca di calcolare una velocità istantanea. Terremo conto di quanto visto nel cap.6 per l’uso delle differenze infinitesime e arriveremo a definire qualcosa di analogo alla velocità istantanea. Nel moto vario essa è una funzione che fornisce un valore finito, ad un certo istante. Nell’analisi non standard il risultato analogo, il tasso di variazione, si otterrà operando sugli iperreali.
Derivata¶
Esauriti i discorsi di base sulle differenze, torniamo ora al punto principale: definire il tasso di variazione relativo ad una funzione a
dominio continuo. Come abbiamo visto a proposito delle funzioni a dominio discreto, si tratterà
di definire il rapporto delle differenze, cioé nel nostro caso dei differenziali.
Il rapporto incrementale, relativo ad un incremento infinitesimo non nullo dx, è detto rapporto
differenziale, ed è un numero iperreale dato da .
Il tasso di variazione si otterrà dalla parte standard di questo rapporto, a due condizioni:
- che il rapporto abbia un valore finito
- che la parte standard non cambi al cambiare di dx.
Il concetto è così importante che ha un nome particolare:
Si dice derivata di una funzione in un suo punto
di continuità x di I, la parte standard del rapporto differenziale
, purché esista con valore finito e sia indipendente
dalla scelta del particolare dx usato.
Il simbolo che si usa per questo nuovo calcolo è f’(x), oppure Df(x),
con il significato già detto: .
Il nome derivata ha ragioni storiche: si tratta di una nuova funzione che
appunto deriva da un’altra data, esprimendo punto per punto il tasso di
variazione di questa, che viene detta funzione primitiva.
Significato geometrico¶
Il rapporto differenziale esprime geometricamente la
pendenza della retta secante alla curva per i punti
, che sono fra loro infinitamente vicini. Quindi la derivata, essendo la
parte standard del rapporto differenziale, sarà
la pendenza della tangente al grafico della funzione, nel punto di ascissa x.
Quando la derivata non esiste¶
Prendiamo il caso di . Il suo grafico ha tangente verticale
in x =0.
Infatti si tratta della funzione inversa rispetto a
, che nello
stesso punto ha tangente orizzontale.
Calcoliamo il rapporto differenziale in x =0:
.
La parte standard del rapporto differenziale non è quindi calcolabile. Per inciso,
l’infinito è positivo perché la funzione è definita solo per numeri positivi.
Se un numero qualsiasi z è un infinito negativo, scriveremo
.
Nel caso di un infinito generico:
La derivata può non esistere anche se la tangente non è verticale. E’ il caso di un punto angoloso, cioé un punto, visto al microscopio non standard, per il quale il rapporto differenziale cambia a seconda dell’infinitesimo scelto come incremento.
Nell’esempio del disegno questo fatto è visibile anche al microscopio standard.
La funzione è e in x =0 il rapporto differenziale vale +1 se dx
è positivo, -1 se dx è negativo.
In conclusione, l’esistenza della derivata si traduce nel fatto che il grafico, osservato al microscopio non standard nel punto considerato, è indistinguibile da un segmento orizzontale o obliquo (non verticale).
Primi calcoli¶
Per il primo esempio di calcolo, seguiamo la definizione. Data la funzione, occorrerà
- esprimere il differenziale df(x)
- scrivere il rapporto differenziale
- calcolare la parte standard
Calcolo di Df(x), con . La sequenza è:
Quindi .
Un secondo modo è più diretto. Si calcola dapprima il differenziale e poi si utilizza solo la sua parte principale, che è indistinguibile. Al termine si scrive il rapporto differenziale e si calcola la sua parte standard. Quindi, data la stessa funzione:
Il segno di indistinguibilità viene usato per esattezza, perché due espressioni indistinguibili non sono (in genere) esattamente uguali. Tuttavia per praticità
è accettabile usare il segno di uguale, anche quando l’uguaglianza si riferisce alla sola parte standard.
Così d’ora in avanti intenderemo che equivalga a
, anche se la prima uguaglianza è esatta mentre
la seconda è approssimata.
Regole generali¶
Dalle regole per il calcolo del differenziale delle funzioni deduciamo facilmente le regole per il calcolo della derivata. Basta usare la definizione di rapporto differenziale.
Note
La regola del prodotto, estesa a più funzioni, viene illustrata all’inizio del prossimo capitolo.
Derivare funzioni potenza¶
Ricaveremo la regola generale per gradi. Calcoliamo dapprima i differenziali,
ricordando il Par.6.5.
Iniziamo da , pensando
e applicando la regola del prodotto, poi ricominciamo con esponenti via via maggiori.
- ...
La riga finale, che è intuibile, può essere rigorosamente dimostrata per induzione, seguendo la stessa tecnica. Siamo ora in grado di esprimere la nuova regola:
.
Cosa succede con esponenti negativi?
La dimostrazione più breve si ottiene sostituendo l’esponente:
infatti, ponendo possiamo calcolare la derivata con la regola
nota:
e sostituendo
otteniamo la formula cercata
.
Note
La regola sulla derivata di una potenza ricorda molto da vicino la regola delle differenze dei fattoriali decrescenti.
Potenze a esponente razionale¶
La regola non cambia se la potenza ha un esponente razionale. Se segui
la regola ti sarà facile concludere, per esempio, che
. Si tratta di una regola di validità generale, cioé è
applicabile per le potenze a esponente reale qualsiasi, ma per il momento
non siamo in grado di dimostrarlo. Ci accontentiamo per ora di dimostrare
la validità della regola nel caso delle radici quadrate e cubiche.
Derivare le radici¶
Vediamo perché . Dall’espressione
della differenza
, ricaviamo come differenziale:
. Si tratta di
un’espressione indistinguibile da zero. Zero è l’unico numero da evitare nelle
questioni di indistinguibilità, per questo riscriviamo il differenziale come se
dovesse essere razionalizzato e cerchiamo l’espressione indistinguibile:
.
Ricordando la convenzione di utilizzare comunque il segno di uguaglianza,
allora la derivata risulta:
Questa derivata non è definita per x=0 e infatti abbiamo già verificato che il
grafico della funzione ha tangente verticale nell’origine.
Torniamo ora alla regola della derivata della potenza per individuare una regola conseguente, specifica per le radici. Avremo:
(Tieni presente che l’esponente nella terza espressione è
un numero negativo). Applichiamo la regola per esempio alla radice cubica:
Come per la radice quadrata, anche la formula della derivata della radice cubica si può dimostrare a partire dal rapporto differenziale. La razionalizzazione “alla rovescia” in questo caso si esegue ricordando la scomposizione della differenza fra due cubi.
Siamo ora in grado di derivare espressioni di una certa complessità: polinomiali, razionali fratte, irrazionali.
Esercizi svolti¶
I primi esercizi vengono dettagliati minuziosamente. l’obiettivo deve essere acquisire in fretta la pratica che permette di arrivare rapidamente al risultato.
.
.
Quale notazione per la derivata?¶
Usiamo indifferentemente tre notazioni per indicare la stessa cosa: Df(x), e f’(x). Dato che non facciamo più distinzione fra indistinguibilità e uguaglianza, l’uso di un simbolo o dell’altro risponde solo a un criterio di comodo. Il vantaggio dell’ultimo simbolo sta nell’indicare la
derivata come “funzione derivata” e quindi di poter indicare per esempio f’(2), che
equivale al più laborioso Df(x) per x=2 . Il rapporto differenziale mette in
evidenza la variabile e
per questo è molto usato in fisica e in tecnica. Per esempio
indica che la funzione q varia in dipendenza da t, come avviene per esempio per l’intensità di corrente elettrica.
Riassunto¶
- La derivata è la parte standard del rapporto differenziale. Per calcolarla, occorre semplicemente scrivere il rapporto differenziale della funzione data e ottenere la sua parte principale.
- La derivata non esiste se il rapporto differenziale è un infinito oppure se dipende da un diverso differenziale dx.
- Le regole di calcolo della derivata di una funzione non elementare si ottengono direttamente da quelle dei differenziali.
- La derivata della funzione potenza segue la regola delle differenze nei fattoriali decrescenti.
- Graficamente, la derivata esprime la pendenza della tangente alla curva per quel punto.
Esercizi¶
- Calcola
nei due modi descritti nel paragrafo 7.4.
- Calcola seguendo le regole generali di calcolo.
- Dimostra la regola della derivata di un prodotto.
- Dimostra la regola della derivata di un quoziente.
- Calcola
applicando le regole generali del calcolo.
- Dimostra che
.
- Seguendo la regola sulla derivata di una potenza, dimostra che
.
- Dimostra la formula della derivata della radice cubica a partire dal differenziale della funzione.
- Ricalcola l’ultimo esempio, seguendo la regola della derivata di un prodotto.
- Seguendo la regola sulla derivata di una potenza, dimostra che
.
- Calcola
- Calcola
- Calcola
La tangente¶
In questo capitolo impariamo a calcolare e utilizzare l’equazione della retta tangente e poi prendiamo confidenza con la funzione derivata, valutando per via grafica la tangente a varie curve.
Ricerca della retta tangente¶
Dato che la derivata, se esiste, fornisce la pendenza della retta tangente al grafico di f(x),
sarà facile scrivere l’equazione della retta tangente in a una curva f(x).
L’equazione di una retta per il punto
è
.
Il coefficiente angolare m è dato dalla derivata calcolata nel punto, quindi la tangente è:
Esercizi svolti¶
1. Trova il punto della parabola in cui la tangente è parallela
alla retta
Abbiamo il risultato della derivata nel punto cercato: è -5, il coefficiente angolare della retta parallela alla tangente. Calcoliamo quindi l’espressione della derivata e cerchiamo il punto in cui essa vale -5.
. Perché la derivata valga -5 deve essere x=0 . In questo punto la funzione vale -2, quindi il punto cercato è (0,-2).
2. Data la funzione , trova la tangente e la normale al
suo grafico nei punti di intersezione con l’asse delle ascisse.
La funzione si azzera per x=1 , x=-1 , x=-2 . Occorre calcolare la derivata in questi punti e poi esprimere per ogni punto l’equazione della retta tangente e quella della retta normale, che avrà il coefficiente angolare antireciproco. Per il calcolo della derivata, ci sono tre vie. Si potrebbe prima esprimere il polinomio, svolgendo il prodotto, e poi derivare. Oppure si moltiplicano i due primi binomi, poi si segue la regola del prodotto:
.
Il terzo modo è descritto nel prossimo paragrafo.
Il calcolo della derivata, dopo semplici passaggi algebrici, ci dà: . Nel primo punto (-2,0) avremo:
- per la tangente
- per la normale:
.
Dato che ne risulta:
per la tangente e per la normale. Per gli altri punti lo svolgimento è lo stesso.
3. Dimostra che i segmenti tangenti all’iperbole equilatera ,
compresi fra gli assi coordinati, hanno per punto medio il punto di tangenza.
Calcoliamo la derivata e poi scriviamo l’eq.della tangente per un generico punto dell’iperbole (limitiamoci al primo quadrante).
e per la tangente in a
.
Le intersezioni della tangente con gli assi sono in .
Allora il punto medio è
, che è proprio il punto di tangenza.
Derivare un prodotto di più funzioni¶
La terza possibilità è imparare a derivare le funzioni che contengono più prodotti. Nel caso di tre funzioni:
.
È una regola che si estende a più prodotti: si scrive una somma in cui
compaiono tanti prodotti delle funzioni quante sono le funzioni e all’interno
di ogni prodotto si deriva una funzione diversa.
Così per esempio dove per brevità
intendiamo che y, z, t, u siano tutte funzioni di
.
Come varia la tangente¶
Immaginiamo di calcolare la derivata relativa a punti diversi del grafico di una funzione: otterremo diversi valori che graficamente rappresentano le diverse inclinazioni della retta tangente alla curva. Se visualizziamo una dopo l’altra queste tangenti, avremo l’impressione di “costeggiare” la curva che rappresenta la funzione. Nei nostri esempi la pendenza è una funzione continua, legata all’andamento della primitiva: si può quindi mettere in grafico sia la funzione data, la primitiva, sia la funzione derivata.
Tangenti ad una parabola¶
La parabola ha per derivata
, che è quindi una retta. I punti di questa retta rappresentano le diverse inclinazioni delle tangenti alla parabola, che al crescere di x diventano sempre meno decrescenti, raggiungono la direzione orizzontale in corrispondenza del vertice della parabola, poi aumentano sempre più la propria inclinazione, proporzionalmente a x.
La funzione derivata cresce quindi costantemente secondo una retta che passa per l’origine, crescendo da valori negativi a valori positivi man mano che la parabola attenua la sua decrescita, per poi risalire.
Il fatto che sia proprio una retta a descrivere la variabilità della tangente si spiega anche con la costruzione geometrica del grafico della parabola, i cui punti P si trovano all’intersezione
fra due rette: la retta r , perpendicolare in Q alla direttrice e l’asse t del segmento che unisce
Q al fuoco F. In questo modo t è la tangente alla parabola e il suo coefficiente angolare è
dato da , ( x è l’ascissa di Q e per ragioni di
simmetria
è l’intersezione di t con l’asse orizzontale).
2ax è proprio la derivata della funzione parabola e per semplificare nel nostro esempio abbiamo preso a=1
Tangenti ad una cubica¶
La funzione associa ad ogni numero x il suo cubo. La funzione è crescente, quindi, procedendo
da sinistra verso destra, i valori della funzione sono sempre meno negativi e i rapporti differenziali sono positivi. Per es. prendiamo per semplicità il rapporto incrementale relativamente a x=-3 :
si ha . E’ facile
verificare che questi rapporti, pur mantenendosi sempre positivi, diminuiscono e
tendono ad azzerarsi nei pressi dell’origine, per poi tornare a crescere.
Di conseguenza le tangenti saranno sempre inclinate positivamente, con tendenza a
diventare orizzontali vicino all’origine. Perciò il grafico della derivata
non potrà essere una retta, come nel caso precedente.
Dato un punto generico della cubica , l’equazione della tangente
per P sarà
. Il grafico della derivata è una parabola
concava verso l’alto.
Tangenti alla funzione seno¶
Questa volta abbiamo una funzione oscillante, cioé crescente per alcuni valori, decrescente per altri, che quindi varia fra massimi e minimi successivi.
Le tangenti, di conseguenza saranno inclinate positivamente, poi sempre meno, poi diverranno orizzontali, poi inclinate negativamente, torneranno quindi di nuovo orizzontali e poi crescenti. Poi tutto ricomincerà da capo, nello stesso modo. Anche la funzione derivata è quindi una funzione periodica, legata strettamente al seno. Noi non siamo ancora in grado di esprimere questa derivata, quindi ne facciamo solo una descrizione qualitativa.
Tangenti alla funzione arcotangente¶
Le tangenti a questa funzione sono tutte rette crescenti (hanno pendenza positiva). La loro pendenza però cresce solo fino a 1, per poi calare gradualmente e diventare 0 all’infinito. Anche questa derivata sarà calcolata più avanti.
Tangenti ad una funzione esponenziale¶
Le tangenti a questo grafico hanno pendenza sempre più crescente, così come sempre più crescente è la funzione .
Quindi il grafico della funzione derivata in un certo senso accompagna il grafico della funzione esponenziale e sembra anch’esso esponenziale, seppur leggermente diverso. Sembrerebbe quindi abbastanza facile risalire dal grafico della primitiva al grafico della derivata e anche il viceversa.
Riassunto¶
- Non è difficile, conoscendo la derivata in un punto, ricavare l’equazione della sua tangente per quel punto e tracciarla.
- L’insieme delle tangenti segue la curva della funzione, accompagnandola e mettendo in evidenza il suo andamento crescente o decrescente.
- Dall’analisi del grafico della derivata si possono quindi trarre utili informazioni sull’andamento della primitiva.
Esercizi¶
- Completa l’es. svolto 2 sul prodotto di più funzioni.
- Ripeti l’es. 3 sulle tangenti all’iperbole nel caso di un altro ramo di iperbole.
- Con l’aiuto di un software come Geogebra, disegna il grafico di
, osserva le tangenti al grafico e l’andamento della funzione tangente. Sulla stessa pagina traccia il grafico della funzione derivata.
- Ripeti l’es.precedente per la parabola:
.
- La retta
potrebbe rappresentare la derivata di quale parabola?
- Ripeti l’es.3 relativamente alle cubiche
scrivendo le tue osservazioni.
- Quale funzione richiama il grafico della derivata della funzione
?
- Traccia il grafico della funzione
e descrivi l’andamento delle tangenti.
La derivata delle funzioni circolari e delle loro inverse¶
Per giustificare le formule delle derivate di funzioni circolari e delle loro inverse, faremo ampio uso dei microscopi, che rendono i risultati più immediati ed evidenti di quanto non faccia il calcolo. Useremo il calcolo soprattutto per confermare i risultati già trovati.
Derivare y=sin x¶
Un arco di circonferenza, ingrandito al microscopio non standard,
è indistinguibile da un segmento. Quindi per ogni infinitesimo non nullo, si ha
Per le convenzioni già discusse nel capitolo precedente, potremo scrivere
. Cerchiamo ora di esprimere la differenza
.
L’incremento infinitesimo di angolo dx è racchiuso fra i due raggi OA e OB,
che sono indistinguibili da segmenti paralleli, e l’arco AB corrisponde
all’angolo dx ed è indistinguibile da un segmento rettilineo.
Nell’ingrandimento al microscopio non standard AA’ e BB’ sono segmenti
distinti paralleli, e C è la proiezione di A su BB’.
Allora il triangolo curvilineo ABC è indistinguibile da un triangolo rettangolo
e AC è l’incremento infinitesimo di sin x, relativo all’incremento
.
è una funzione continua, perché associa all’incremento
infinitesimo dx l’incremento infinitesimo
,
dato da:
. Per cui, come già si intuiva osservando
l’andamento delle tangenti di una sinusoide, la derivata risulta:
Volendo dimostrare tutto questo con il calcolo, dobbiamo ricorrere alle espressioni per le differenze del cap.5, che sono:
Prima di sostituire le differenze con i differenziali, dobbiamo accertarci che le
due funzioni siano continue. Poiché il seno è una corda e quindi è
minore dell’arco () e poichè il coseno è sempre minore di 1, o al massimo uguale, se
,
.
Allora è infinitesimo per
infinitesimo,
quindi la funzione seno è continua. Per la funzione coseno il procedimento è simile,
per cui possiamo scrivere:
e
e infine, passando dalle
differenze ai differenziali si perviene alla formula già vista:
.
Come si nota, la dimostrazione attraverso il calcolo è molto meno intuitiva. Nel seguito ne faremo uso solo se strettamente indispensabile.
Derivare y=cos x¶
In questo disegno OB’ rappresenta e OA’ rappresenta
.
Ingrandito al microscopio non standard, abbiamo
,
con il segno negativo perché al crescere dell’arco il coseno diminuisce. ABC è un
triangolo rettangolo con l’ipotenusa dx e l’angolo in B uguale ad x.
Allora
, da cui si ricava che
. Da qui la regola di derivazione:
.
Derivare y=tan x¶
Nel cerchio goniometrico, la tangente è il segmento FC, mentre
,
sicché
. In corrispondenza
di CD abbiamo l’arco AB , relativo all’incremento
dell’angolo x.
Con due microscopi non standard, regolati allo stesso ingrandimento, visualizziamo
i punti infinitamente vicini . I raggi per
A e per B si vedranno paralleli e potremo disegnare il segmento CE parallelo
ad AB, in modo che CED sia un triangolo rettangolo di ipotenusa
.
Ne risulta che
. Per ricavare
,
vediamo che il triangolo isoscele OAB è simile a OCE e quindi vale
. Allora
e
.
Se ne conclude che:
.
Si perviene allo stesso risultato in modo tortuoso attraverso il calcolo e, in modo più interessante, usando la regola della derivata di un quoziente, applicata a
, che porta anche a un risultato equivalente:
. In conclusione:
.
Con la regola della derivata di un rapporto si ricavano anche le regole delle derivate delle funzioni cotangente, secante, cosecante. Dimostriamo per via geometrica solo uno di questi casi, riportando poi in sintesi tutti i risultati al termine del capitolo.
Derivare y=sec x¶
Il disegno è analogo a quello del caso precedente. Questa volta cerchiamo l’espressione di: che nel disegno corrisponde al segmento DE .
Per la similitudine dei triangoli CED e COF abbiamo: . Da cui
.
Ma sono simili anche i triangoli isosceli OAB e OCE, da cui
. Ricavando
e sostituendo nella precedente, si ha infine:
. La derivata è quindi:
La seconda espressione si ottiene per semplici trasformazioni goniometriche.
Derivare y=arcsin x¶
Nel prossimo disegno, x è il seno dell’angolo . Quindi
dx è l’incremento della funzione seno, corrispondente all’incremento infinitesimo
dell’angolo
, cioé
.
A’ e B’ sono le proiezioni di A e di B sull’asse orizzontale, quindi
. C è la
proiezione di A su BB’ e forma così un triangolo rettangolo ABC simile a
AOA’. Dalla similitudine si ricava che
, da cui deriva la regola di derivazione:
.
Questa derivata non è definita per e infatti per questi valori
di x la funzione arcoseno ha tangente verticale.
Derivare y=arccos x¶
La derivata della funzione si ottiene attraverso considerazioni
analoghe alle precedenti. Si può avere la conferma del risultato dal fatto che la
somma
. Allora:
e quindi
dato che la derivata di una costante è nulla.
Derivare y=arctan x¶
Nel disegno, è l’incremento infinitesimo nel valore della tangente, relativo all’incremento infinitesimo di arco
. Posizionati i due microscopi non standard come al solito, chiamiamo E
la proiezione di C sul raggio prolungato OD e chiamiamo
. Avremo così un triangolo
rettangolo DCE simile al triangolo COF. Dalla similitudine si ricava la relazione:
. Come nei casi
precedenti, individuiamo altri due triangoli simili: AOB e BOC, il che ci porta
a dedurre:
.
Ricavando
dalla prima relazione e sostituendolo nella seconda, si ha
il differenziale:
, e la derivata:
.
Derivare y=arccot x¶
Anche per questa derivata si può ricavare l’espressione seguendo il ragionamento fatto a proposito dell’arcocoseno. Si avrà facilmente:
.
Riassumendo¶
Abbiamo ricavato principalmente per via geometrica le formule dei differerenziali e delle derivate delle funzioni goniometriche e delle loro inverse.
y | dy | y’ |
---|---|---|
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Esercizi¶
- Analizza le tangenti alla cosinusoide e descrivi il loro andamento.
- Deduci l’espressione della derivata della tangente usando la regola della derivata del quoziente fra seno e coseno.
- Deduci le espressioni delle derivate della cotangente, della secante, della cosecante, utilzzando la regola della derivata del quozionte.
I differenziali, le differenze e i problemi¶
Quale tipologia di problema¶
Nel Cap.5 abbiamo risolto alcuni problemi con il calcolo delle differenze. Si
tratta di problemi nei quali si chiede quale incremento può provocare
nella funzione y un certo incremento dato
.
Abbiamo già avvisato che si tratta di problemi in generale tutt’altro che semplici,
perchè non è detto che sia possibile trovare un’espressione risolutiva esplicita.
Si cerca allora di superare le difficoltà con gli incrementi infinitesimi
, perché già sappiamo che
e quindi
fornisce il valore dell’incognita cercata. Ma quali
difficoltà comporta utilizzare gli incrementi infinitesimi rispetto agli incrementi
finiti e quali relazioni legano gli uni agli altri?
Differenze e differenziali¶
Al microscopio non standard, il grafico della funzione nel punto di ascissa x
appare indistinguibile da un segmento inclinato con pendenza .
Ma sappiamo che indistinguibile non vuol dire esattamente coincidente e inoltre
è una comoda convenzione dire che
, perché
l’uguaglianza esatta si limita alla parte standard del rapporto differenziale.
Per essere precisi si dovrebbe scrivere
,
dove
è la parte infinitesima.
Allora si ricava
, dove l’ultimo termine è un
infinitesimo di ordine superiore a dx.
Affrontando un problema come quelli descritti, se utilizziamo
al posto di
, commettiamo un errore che è infinitesimo
di ordine superiore a dx.
L’errore è ancora maggiore, in generale non infinitesimo, se utilizziamo
incrementi standard , e tuttavia è un errore contenuto, pensando
sufficientemente piccolo.
Così, non riuscendo a risolvere il problema con l’equazione corretta
, che esprime l’incremento della funzione,
ci accontentiamo di:
che esprime l’incremento della tangente, pur sapendo che la formula comporta un
errore.
Il vantaggio è che così è facile calcolare l’espressione risolutiva:
.
Applichiamo questa nuova strategia risolutiva agli esempi già visti (Problemi 1 e 2) e cerchiamo di valutare l’errore che comporta l’uso di quest’ultima espressione rispetto alla soluzione esatta. Infine applichiamo la formula approssimata a due problemi nuovi.
Problema 1. La corona circolare¶
Un cerchio ha il raggio di 5 cm. Di quanto deve aumentare il raggio perché l’area
del cerchio aumenti di ?
L’area è , che ha per derivata
.
. La formula risolutiva dà:
.
Questo problema è stato illustrato nel Cap.5 e la soluzione, ricavata con il calcolo del rapporto incrementale, era: .
La formula dava la soluzione esatta, ma nel risultato avevamo tagliato i decimali.
Ricalcoliamo entrambi i risultati con la calcolatrice e abbiamo:
Soluzione esatta: 0.025400. Soluzione approssimata: 0.025465
Quindi l’approssimazione è molto buona. In più si consideri l’immediatezza della formula risolutiva approssimata che oltretutto non ha alternativa nei casi in cui non sia possibile esprimere una formula risolutiva esatta.
La formula approssimata esprime anche un
significato geometrico: si può pensare che la sottile corona circolare che rapprenta
l’area aggiunta sia deformabile e corrisponda all’area di un rettangolo con la base
pari alla circonferenza
e l’altezza
.
Problema 2. Il triangolo¶
Riproponiamo anche questo secondo problema, del quale nel Cap.5 abbiamo già esaminato la formula risolutiva esatta.
Un triangolo di lati a, b rispettivamente uguali a 5 e 8 cm e angolo compreso di 40°, subisce un incremento di area di .
Quale incremento di angolo
provoca tale incremento di area?
L’area si ricava da: . Poiché il suo
incremento è picccolo, utilizziamo la formula approssimata
che nel nostro caso diventa:
.
Nel Cap.5 la formula risolutiva esatta era:
che portava al risultato di
. La formula approssimata
è dunque più semplice e porta ad una errore minimo, di circa una parte su 400.
Supponiamo di non conoscere le derivate e quindi nemmeno la formula approssimata
. Attraverso quali considerazioni geometriche
possiamo ricavarla? Dobbiamo puntare in A un microscopio standard (l’incremento
è piccolo, non infinitesimo) e visualizzare il nuovo vertice A’
che si ottiene dopo avere incrementato
. Il segmento BA’ riduce l’area
del triangolo iniziale, mentre il segmento CA’ la aumenta. Quindi l’incremento
ottenuto grazie a
è la differenza fra le aree
. Per calcolare l’area S(A’DC) la approssimiamo a quella del triangolo A’AC che a sua volta è approssimabile al settore circolare di centro C e
arco
.
In conclusione
. Fissiamo E , proiezione di A su A’B .
Avremo
.
Approssimiamo anche il triangolo ABD al triangolo ABE e questo ,a sua volta, al
settore circolare di arco AE e angolo
. Quindi
.
La differenza (approssimata) delle due aree risulta
. L’espressione tra parentesi equivale a
,
quindi, alla fine abbiamo
, che è la stessa espressione utilizzata per risolvere il problema.
Come si vede, l’uso delle derivate ci risparmia un percorso deduttivo tutt’altro che immediato.
Problema 3. La bolla¶
Una bolla di sapone del raggio di 8.5 cm pesa 0.24 grammi. Quale è il suo spessore?
Si immagina che la densità dell’acqua saponata sia di e quindi
la bolla ha volume di
. Il volume è un sottile guscio sferico, di
raggio interno pari a r e spessore
molto piccolo rispetto a r.
Possiamo pensare di descrivere il volume del guscio come la differenza fra due sfere concentriche:
, con
. Applicando la formula esatta della differenza, abbiamo:
cioé
un’equazione di terzo grado in
, complicata da risolvere.
Invece la formula approssimata ci dà:
.
Note
La formula risolutiva approssimata è sempre un’equazione di primo grado in .
Problema 4. Il numero di Eulero¶
Il numero di Eulero viene utilizzato nel calcolo
. Qual’è il minimo numero di decimali da utilizzare
in
per avere un errore massimo di 0.001?
La funzione ha per derivata
. Se
e
, calcolando
si ottiene
,
un numero con 7 cifre decimali. Quindi la risposta è 7 cifre decimali.
Verifichiamo. Con 15 cifre decimali, il numero ,
quindi con 7 decimali è
. Provando a calcolare
con i valori
e
, cioé aumentando e poi diminuendo di uno l’ultima
cifra decimale, si ottengono
e
,
che sono risultati uguali a meno di 0.001. Se riproviamo fermandoci a 6 cifre
decimali e calcolando la funzione con la sesta cifra decimale variata di un’unità,
stavolta i risultati differiscono di più di un millesimo.
La contrazione dell’errore¶
Quale ragionamento guida la soluzione del problema 4? Se usiamo una funzione con
un numero approssimato avremo un risultato anch’esso
approssimato
. Se
è piccolo
possiamo usare la formula approssimata
, che equivale
ad approssimare il grafico della funzione nel punto di ascissa x con la tangente.
La derivata avrà segno positivo o negativo a seconda che gli incrementi siano di
segno concorde o discorde. Ma se consideriamo solo i valori assoluti degli incrementi,
allora avremo
.
può essere pensato come incremento oppure come approssimazione (errore assoluto)
del valore della funzione, e analogamente
.
- Se la derivata vale 1 (in valore assoluto),
, l’errore sulla variabile è uguale all’errore sulla funzione.
- Se
, allora la funzione dilata l’errore.
- Se infine
, significa che la funzione “reagisce” all’incremento
con un incremento minore: la funzione contrae l’errore.
Il metodo delle contrazioni per approssimare la soluzione delle equazioni si basa su questo principio.
Riassunto¶
- Se
è piccolo si può approssimare la formula
con la formula
. L’approssimazione è utile, a volte indispensabile, nei problemi in cui si chiede di ricavare l’incremento
che provoca un dato incremento
.
- L’equazione risolutiva approssimata
è di primo grado ed è di facile soluzione. Al contrario, non sempre è facile o possibile dedurre la formula risolutiva dall’equazione esatta
.
- In alcuni problemi, per i quali entrambe le formule sono utilizzabili, si confronta la soluzione esatta con quella approssimata e si può verificare come la soluzione approssimata sia ampiamente sufficiente.
Esercizi¶
La derivata delle funzioni composte e delle funzioni inverse.¶
Derivata come coefficiente di dilatazione¶
L’equazione , esatta a meno di infinitesimi di ordine superiore,
può essere interpretata in un nuovo modo. Se
si
intendono come segmenti infinitesimi, allora
è il coefficiente
che trasforma la misura
nella misura
. Per esempio, se la
derivata vale 2 (
), una variazione infinitesima di x si
riflette in una variazione doppia di y. Il segno della derivata ci
dice se l’orientamento dei due segmenti infinitesimi è concorde o discorde.
Per esempio, l’espressione
mostra che la variazione infinitesima
di x produce una variazione tripla di y, ma di segno opposto: se x cresce,
y decresce di tre volte tanto.
Funzione di funzione e sua derivata¶
Immaginiamo di avere una funzione f(x), definita su un intervallo ,
che trasforma x in u=f(x), e un’altra funzione
, con
che trasforma
u in y=f(u). Le due funzioni si possono comporre, cioé applicare successivamente
l’una ai valori dell’altra in modo che la loro composizione
trasformi
. Se f è derivabile in x,
per esempio con
, e g è derivabile in u=f(x), per esempio
, vuol dire che ad un incremento infinitesimo dx corrisponde
un incremento doppio du=2dx e che a questo incremento infinitesimo du corrisponde
un incremento triplo, ma di segno opposto, dy=-3du=-3(2dx) . Sicché alla fine
l’incremento infinitesimo è dy=-6dx.
Il disegno mette i valori x del dominio di f sull’asse verticale verso il basso. Quei valori u=f(x) che fanno parte del codominio di f e che costituiscono il dominio di g sono sull’asse orizzontale. Grazie ai microscopi si può seguire il percorso che trasforma la variazione infinitesima dx nella variazione finale dy=-6dx attraverso il passaggio intermedio du=2dx .
La funzione f si deriva nel punto x, mentre la funzione g si deriva nel punto u=f(x).
Abbiamo dy=g’(u)du e du=f’(x)dx, quindi dy=g’(u)f’(x)dx. In pratica la derivata della composizione di due funzioni è il prodotto delle due derivate.
La regola è importantissima e di uso assai frequente.
Esempi¶
- Derivare
.
In questo esempio .
, quindi
.
- Derivare
.
Questa volta .
, ne risulta
.
Nota. Evidentemente sono funzioni diverse.
- Derivare
.
.
.
- Derivare
.
Sappiamo già svolgere questa derivata, con la regola delle potenze:
.
La regola delle funzioni composte può essere usata anche in questo caso, anche
se è meno conveniente: .
, quindi
.
Derivare la composizione di più funzioni¶
La regola non cambia se la funzione si compone di più di due funzioni.
Con 3 funzioni: sia .
Allora esiste la funzione
, tale che
. Dato un
, se u=f(x), v=g(u), y=h(v) e se queste funzioni sono derivabili, allora in corrispondenza di un incremento
infinitesimo dx , le funzioni f, g, h subiranno gli incrementi du=f’(x)dx, dv=g’(f(x))du,
dy=h(g(f(x)))dv e quindi
per cui vale ancora la regola del prodotto delle derivate
.
Problemi¶
1. Gonfiare il pallone.¶
Un pallone inizialmente sgonfio, viene gonfiato al ritmo di un litro al secondo. Con quale velocità sta aumentando la sua superficie dopo 5 secondi?
Poiché , il volume del pallone cresce ogni secondo di
e la funzione che rappresenta il volume è
. Per una sfera
. La superficie
dipende dal raggio:
e sostituendo r si ha:
.
Per sapere la velocità di espansione della superficie al quinto secondo
occorre calcolare S’(5). Calcoliamo prima la derivata e poi poniamo t=5 .
.
Per t=5 abbiamo:
.
2. La distanza fra due treni.¶
Un treno parte alle 8 del mattino e viaggia verso Est alla velocità di 90 km/h, mentre un altro treno parte alle 9 di mattina dallo stesso punto e viaggia verso Nord alla velocità di 120 km/h. A quale velocità si stanno allontanando i due treni a mezzogiorno?
Rappresentiamo il moto dei due treni in un sistema di assi cartesiani, come nella figura.
Al tempo t il primo treno si trova sull’asse x alla posizione 90t, mentre
il secondo treno si trova sull’asse y alla posizione 120(t-1) perché parte un’ora
dopo il primo. La distanza fra i due treni è data dal Teorema di Pitagora:
di questa funzione dobbiamo calcolare la
derivata rispetto al tempo e poi valutarla per t=4 (cioé 4 ore dopo la partenza).
.
.
Derivare l’inversa di una funzione¶
Conosciamo già alcune regole di derivazione di funzioni inverse: per esempio delle radici, che sono inverse delle potenze. Ma non abbiamo individuato la regola che lega la derivata di una funzione alla derivata della sua inversa. È quello che stiamo per fare.
Sia derivabile e invertibile. Esiste dunque la funzione inversa
. In generale, il fatto che f sia derivabile
non ci assicura sull’esistenza della derivata di
. Anzi,
potrebbero anche essere disgiunti. Quindi, preso un x
di
, non siamo certi che esista f(x) e quindi neanche f’(x) da
mettere in relazione con l’eventuale
.
Il grafico della funzione e il grafico della sua inversa sono simmetrici rispetto
alla retta . Grazie a questa simmetria i punti
del grafico dell’inversa trovano corrispondenza nei punti
del grafico della funzione.
Se puntiamo i microscopi non standard su punti corrispondenti dei due grafici,
visualizziamo due segmenti che si corrispondono nella simmetria assiale .
Se f è derivabile in
e la derivata è diversa da zero
(segmento non orizzontale), allora
sarà derivabile in x (segmento
non verticale).
Consideriamo un incremento infinitesimo dx sul grafico della inversa, che provoca
un incremento . Possiamo definire la derivata della funzione inversa
. Ora controlliamo i differenziali simmetrici
sul grafico della funzione f: si vede chiaramente che in ascissa e in ordinata
sono scambiati:
.
La regola è dunque questa: le due derivate sono reciproche una dell’altra:
. Oppure:
.
La derivata della funzione nel punto di ascissa x è il recipoco
della derivata della funzione f nel punto
.
Esempi e esercizi svolti¶
- Calcolare
a partire da
:
.
Ritroviamo quindi un risultato già noto e lo stesso vedremo nei prossimi esempi.
- Calcolare la derivata dell’arcotangente usando la formula dell’inversa.
.
.
- Calcolare la derivata dell’arcoseno:
.
.
Nel trasformare abbiamo scartato i valori negativi,
dato l’intervallo scelto per le y. Agli estremi di questo intervallo il denominatore
si annulla, quindi la derivata dell’arcoseno non esiste per
.
- Calcolare la derivata della radice ennesima:
.
.
Come si vede, la funzione non è derivabile per x=0. Anche questo risultato, come i prossimi, conferma quanto avevamo visto utilizzando la regola delle potenze.
- Calcolare
, con la regola delle funzioni inverse.
.
.
- Ricalcolare
, con la regola delle funzioni composte.
Pensiamo . Allora
.
.
Come si vede, si deve utilizzare anche la regola della derivata dell’inversa per il calcolo della radice ennesima.
Resta il dubbio che la derivata sia calcolabile solo con alcuni esponenti razionali e non con tutti. In effetti nel Cap.7 abbiamo anticipato la regola, come se valesse per tutti, ma senza dimostrarlo. Ora però siamo in grado di dimostrarlo.
- Dimostrare che
(il segno dell’esponente è qualsiasi).
- Ricavare la regola della funzione inversa dalla regola della funzione composta.
Poiché la funzione composta è , allora la derivata risulta
e quindi, se
, ne
consegue che
.
In questa sintetica dimstrazione abbiamo dato per scontato che la funzione inversa sia derivabile.
Riassunto¶
- Due nuove regole per la derivata. La derivata di una funzione composta è il prodotto delle derivate delle due funzioni che la compongono.
- La derivata dell’inversa di una funzione è il reciproco della derivata di quest’ultima.
- Abbiamo applicato le due regole, fra le altre cose, anche per dimostrare quanto anticipato nel Cap. 7 sulla derivata di una radice ennesima e sulla derivata di una potenza con esponente razionale qualsiasi.
Esercizi¶
La derivata delle funzioni esponenziali e le derivate connesse.¶
Nel Cap.3 abbiamo visto che per le progressioni geometriche del tipo
il tasso di variazione è proporzionale alla successione stessa:
, e che nel caso in cui q sia 2, allora è semplicemente uguale ad essa:
.
Le funzioni esponenziali corrispondono nel continuo alle
progressioni geometriche nel discreto. Analizzando le tangenti di
nel Cap.8, abbiamo visto che il grafico delle pendenze delle tangenti accompagna
il grafico della funzione, senza tuttavia coincidere.
In questo capitolo concentriamo lo sguardo sulle funzioni esponenziali, per cercare
- quale sia il numero a che rende l’espressione della derivata uguale a quella
della funzione:
- se esistono altre funzioni, oltre alle esponenziali, tali che
.
Derivata delle funzioni esponenziali¶
Iniziamo dal differenziale: .
Quindi la derivata è
. Perché la
derivata risulti almeno proporzionale alla funzione, occorre che la derivata esista
e che il coefficiente
non dipenda da dx ma solo da a,
in modo da avere una parte standard ben precisa. Così possiamo definire provvisoriamente
.
Il coefficiente , è stato ricavato
applicando la proprietà caratteristica degli esponenziali:
, per cui
,
dato che per gli esponenziali .
Dunque la derivata di un funzione esponenziale è direttamente proporzionale alla funzione
e il coefficiente di proporzionalità è la derivata stessa, calcolata nel punto x=0
Cerchiamo adesso di capire come può essere che il coefficiente c(a) sia 1, così da raggiungere l’obiettivo che la derivata e la funzione abbiano la stessa espressione.
Immaginiamo che a sia tale che . Allora
.
C’è un numero che corrisponde a questa definizione ed è il numero e, la cui parte
standard è . Si tratta
del Numero di Nepero, la base dei logaritmi naturali, il cui valore approssimato è 1,71828... Più avanti, nella deduzione analitica del risultato che stiamo
cercando, il numero e viene descritto con maggiori dettagli.
Quindi, se la funzione esponenziale è . Invece per determinare la derivata se
, dobbiamo cercare altre informazioni su c(a)
ricorrendo alle proprietà degli esponenziali e alla regola della derivata del prodotto. Abbiamo:
Ne risulta che . Abbiamo individuato la proprietà caratteristica
del coefficiente c(a) : si comporta come una funzione logaritmica pura
, per cui
.
Per coerenza con la regola appena trovata nel caso di , l’unica base possibile per il logaritmo è B=e, perché
. Concludiamo quindi:
. In particolare:
.
Note
Un’altra dimostrazione della regola viene proposta negli esercizi.
Unicità del risultato¶
Nel caso delle differenze abbiamo visto che e che lo stesso
vale per
. Anche nel continuo, l’esponenziale
non è l’unica f(x) per cui vale
, perché avviene
lo stesso per le funzioni
. Quindi le funzioni identiche alla
propria derivata sono infinite e per ora sappiamo che hanno la stessa forma esponenziale
.
La domanda che ci poniamo è se non vi siano altri tipi di funzione con la stessa
proprietà. Per capirlo procediamo dapprima costruendo il grafico di una di queste
funzioni, le cui caratteristiche devono essere come quelle di
,
cioè
.
Infine, per raggiungere la certezza matematica dell’unicità della soluzione, dovremo approfondire la nostra conoscenza del numero e.
Costruzione grafica¶
1. La funzione passa per il punto generico e la tangente per
quel punto con pendenza
è la retta che ha coefficiente angolare
, che passa per i punti
e
.
2. Un secondo punto di tangente nota è il punto , dove la tangente
è la retta di coefficiente angolare
.
Questa passa per
.
3. Ora consideriamo vicino all’origine. Il valore corrispondente
y sulla tangente appena trovata approssima il grafico della funzione.
Anche rispetto a questo nuovo punto costruiamo una tangente, che interseca l’asse orizzontale in
.
4. E si avanza così, verso destra (o anche verso sinistra), a piccoli passi
sull’asse x, per individuare sulla tangente un nuovo punto
che approssima il grafico in
, che ci serve per
disegnare una nuova tangente, sulla quale trovare un nuovo punto dopo
esserci spostati a destra di un altro
, ecc.
Come si vede, la costruzione approssima per segmenti tangenti il grafico di una
funzione esponenziale e non c’è modo di costruire graficamente una funzione diversa
a partire dalle due condizioni date.
Il procedimento grafico conduce a un risultato inevitabilmente approssimato
operando nel continuo, come in questo caso. È invece un procedimento esatto
se applicato alle differenze .
Infatti, nel disegno che mostra la costruzione, i punti
si trovano sulle rette tangenti, tracciate come nel procedimento precedente,
incrementando di 1 ad ogni passo il valore in ascissa. La base 2 nella successione
si comporta come la base e nella funzione
.
Deduzione analitica¶
Dapprima concentriamo la nostra attenzione sul numero e per ricavare due utili proprietà.
Il numero e¶
La definizione usuale del numero di Eulero è
,
con N ipernaturale infinito.
Questo significa che la successione
individua nei suoi termini di ordine infinito valori situati nella monade di
.
Per valori infiniti dell’indice, i termini della successione
sono tutti finiti ed hanno la stessa parte standard:
.
Assumiamo come vere queste due importanti proprietà e esaminiamo le loro conseguenze
nel caso si usino numeri genericamente iperreali.
La prima conseguenza utile è che per qualsiasi infinito positivo, non necessariamente iperintero, si ha
.
Infatti, se
e chiamando
la parte intera di
:
ipernaturale, si ha:
Ne consegue:
Il primo termine della doppia disuguaglianza appartiene alla monade di
. Infatti
Poiché dalla definizione di ricaviamo
e
.
Per ragioni analoghe, anche l’ultimo termine della disuguaglianza appartiene
alla monade di . Infatti
Dunque anche il termine centrale .
Si può dimostrare che lo stesso vale per qualsiasi infinito positivo
o negativo.
La seconda proprietà utile riguarda il numero
e
standard.
Se x=0 risulta banalmente 1.
Altrimenti sostituiamo ponendo
, che è un numero infinito al pari di
e
.
Risulta:
In conclusione, per qualsiasi :
Se una funzione coincide con la sua derivata allora è di tipo esponenziale¶
Le condizioni iniziali sono: .
Prendiamo un numero x positivo (la dimostrazione non cambia nel caso negativo).
Dividiamo l’intervallo 0 - x in un numero ipernaturale infinito N di parti uguali,
ciascuna di ampiezza
, inserendo i punti
.
Tralasciando gli infinitesimi di ordine superiore a
, abbiamo:
. Dato che la funzione
coincide con la sua derivata, possiamo scrivere:
...
ma .
Abbiamo così dimostrato che la nostra funzione è
.
Derivare i logaritmi¶
La prima conseguenza della regola trovata per gli esponenziali è la regola per i
logaritmi. Poiché la funzione è inversa di
si può
applicare la regola della derivata dell’inversa:
.
La regola si applica anche al caso
generale
, perché
.
Quindi:
.
Non è difficile visualizzare questa regola con un grafico. Le due funzioni,
esponenziale e logaritmica, sono inverse l’una dell’altra e quindi i loro grafici
sono simmetrici rispetto a y=x. Un punto P sul grafico della funzione
logaritmo ha coordinate . Il suo simmetrico P’ ha
coordinate
. La pendenza della tangente in P’ è x, il
valore della funzione stessa, perché si tratta del grafico di un’esponenziale.
Allora la pendenza nel punto simmetrico P sara reciproca:
.
In conclusione:
Derivare una funzione che ha per esponente un’altra funzione¶
Iniziamo dal caso più semplice: .
Se la si considera una potenza si ha:
e quindi siamo di fronte ad una nuova funzione identica alla sua derivata.
Se invece la si considera come un’esponenziale abbiamo:
.
Però se varia la base, non è un’esponenziale e se varia l’esponente non è
una potenza. Ma la formula del cambio di base ci aiuta:
.
La derivata allora usa la regola degli esponenziali e delle funzioni composte:
.
Nel caso generale si ha e si procede nello stesso modo.
.
Regola finale sulle funzioni potenza.¶
Siamo ora in grado di dimostrare che la regola della derivata di una potenza
è del tutto generale: resta la stessa anche con esponente reale qualsiasi.
Occorre usare la regola degli esponenziali, la formula del cambio di base
e la regola delle funzioni composte
.
.
Problemi¶
Il decadimento radioattivo¶
Una sostanza radioattiva decade spontaneamente, cioé riduce la propria massa liberando radioattività in proporzione alla massa residua R(t), secondo una legge che dipende dal tempo dt. Scrivi la legge matematica del decadimento.
Abbiamo: , con
negativo perché si tratta di un
decremento. L’equazione si riscrive come quella di
una funzione proporzionale alla propria derivata
,
che ha per soluzioni:
. Come abbiamo visto, la costante
è la funzione calcolata nel punto
,
in questo caso la massa iniziale.
La soluzione è quindi:
.
è caratteristica di ogni sostanza.
L’attenuazione luminosa¶
Un raggio di luce che attraversa una lastra semitrasparente subisce un’attenuazione che dipende dalla natura della lastra e dal suo spessore. Ricava la legge di Lambert Beer che mette in relazione l’intensità del raggio trasmesso con quella del raggio incidente.
Se la lastra ha uno spessore apprezzabile e riduce l’intensità luminosa per
esempio del 30%, due di quelle lastre avranno una trasparenza del 70% del 70%,
cioé del 49%, non del 60%.
Insomma con spessori cospicui la trasparenza non è proporzionale allo spessore.
La proporzionalità si conserva, a meno di infinitesimi di ordine superiore, se
si immagina che la lastra sia composta da infiniti strati uguali di spessore
infinitesimo.
In questo caso, se ds è l’incremento di spessore infinitesimo, l’intensità
della luce trasmessa
I(s) diminuisce di una quantità kI(s)ds. Si ha allora
e quindi
.
E’ ancora una volta un’equazione in cui si cerca l’espressione di una funzione
proporzionale alla propria derivata, con
, che ha per soluzione
.
Cioé
perché se lo spessore è nullo l’intensità è quella iniziale.
Riassunto¶
- Si illustra per via grafica e si dimostra per via analitica la derivata
e la regola più generale
.
- La funzione
è la sola funzione uguale alla propria derivata, la funzione
è l’unica proporzionale alla propria derivata.
- Da questa regola conseguono quelle per le funzioni logaritmo, per le funzioni che hanno per esponente altre funzioni e la regola generale sulle funzioni potenza.
Esercizi¶
- Ricava la regola della derivata
conoscendo la regola di
. Utilizza la regola per derivare le funzioni composte e la trasformazione
.
- Calcola
e esplicita per quali valori il risultato ha senso.
- Compila la lista di tutte le regole di derivazione viste fino a questo punto.
Il comportamento asintotico¶
Convergenza e divergenza delle successioni¶
Iniziamo dall’esempio noto (vedi 12.2): i termini di indice infinito della successione
che definisce il Numero di Nepero
hanno tutti la stessa parte standard
. Si dice allora che la retta
è un asintoto per la successione, cioè i punti del grafico della successione,
per indici infiniti, sono indistinguibili dai punti della retta.
Si dice che la successione è asintoticamente uguale a . In generale
si dice che una successione
converge
al numero standard
se
per ogni indice
infinito.
per tutti i naturali k ed è crescente e
il fatto che converga, come vedremo, è un esempio di quanto avviene per tutte le
successioni monotone e limitate.
Due esempi¶
Le biglie bianche. Qual’è la probabilità di estrarre una biglia bianca da un sacchetto in cui tutte sono bianche, tranne una?
Abbiamo biglie, di cui
sono bianche. Con due biglie in tutto
la frazione
che rappresenta la probabilità in questione, è
prossima a
. Ma se consideriamo numeri sempre più grandi
troviamo che la successione
converge
a 1 (oppure che asintoticamente è uguale a 1), dato che
, quando N è ipernaturale infinito.
L’ordinamento di un vettore.
Per ordinare un vettore di
numeri uso il seguente algoritmo:
confronto il primo elemento con tutti gli altri e se ad ogni confronto lo trovo
maggiore, eseguo lo scambio. Quando ho finito con il primo
elemento, procedo allo stesso modo con il secondo. Questo è l’algoritmo:
Quale legge collega il numero di confronti alla lunghezza
del vettore?
Per determinare il primo termine devo fare confronti, per il secondo
i confronti sono
e così via fino al penultimo, che si sistema grazie
ad un confronto. Quindi in tutto i confronti sono
.
Immaginiamo un vettore infinito. Allora
, cioè il numero di confronti diverge positivamente ed è asintotico a
Diciamo che una successione
diverge positivamente (negativamente) se per ogni indice infinito
si
ha
.
Criterio per le successioni monotone¶
Teorema. Se una successione è crescente, il suo comportamento asintotico ha solo due possibilità: o diverge positivamente o converge. Le due situazioni appena descritte esemplificano questo teorema, che dimostriamo. Dobbiamo provare che i termini di indice infinito o sono infiniti oppure hanno tutti la stessa parte standard.
a) La successione diverge, supponiamo positivamente: cioè per i termini di indice
infinito vale . Se per assurdo non fosse così, allora esisterebbe
un indice
per cui
è finito, cioè esisterebbe un numero
standard
tale che
. Dato che la successione è
crescente, si ha che
per tutti gli indici naturali
.
Ora questo non è possibile che valga solo per gli indici naturali, deve
valere anche per gli ipernaturali, quindi anche per
e questo contraddice
l’ipotesi. In conclusione se un termine con indice infinito è infinito, lo sono anche
gli altri con indice infinito.
b) Escludendo il caso a), la successione non diverge. Mostriamo allora che
i termini di indici infinito hanno la stessa parte standard.
Se, per assurdo, esistessero due indici infiniti
e
, con
tali che
allora
perché la successione
è crescente. Fra i due numeri potrebbe allora esistere un
.
Si avrebbe che
per ogni naturale
perché la successione è crescente. Dovrebbe valere lo stesso anche per l’indice
infinito
. Dato che
questo è assurdo. In conclusione se
la successione è crescente e non diverge, non può che convergere allo stesso valore.
Dalla doppia dimostrazione precedente ricaviamo una regola fondamentale: se una successione monotona è limitata, allora converge.
Tutto questo si applica in modo analogo alle successioni non decrescenti e anche
a quelle decrescenti o non crescenti. Queste due ultime o convergono o divergono
a .
In generale una successione non ha un comportamento asintotico come quelli descritti,
perché non è detto che sia monotona. Per esempio la successione
, vale 1 se
è pari, -1 se
è dispari, quindi oscilla senza convergere, nemmeno all’infinito.
Invece la successione
,
per
oscilla fra l’infinito positivo e quello negativo, a seconda
della parità di
.
Un comportamento ancora diverso è quello della successione
,
che alterna il comportamento convergente,a quello divergente, a seconda dell’indice.
In conclusione, cerchiamo un criterio da applicare (anche) alle successioni
non monotone, per identificarne il comportamento asintotico in modo stringente.
Criterio per le successioni esponenziali¶
Teorema. Una successione del tipo , con
e
positivi
- converge a zero se
- converge ad
, se
- diverge positivamente, se
Il primo caso si dimostra in riferimento al terzo caso. Infatti
, con
. Poiché
diverge (vedi terzo caso), allora
è un infinitesimo. Il secondo caso è banale.
Nel terzo caso, poiché
, possiamo scrivere come
.
Quindi
. Allora
, che è un infinito positivo,
per cui, a maggior ragione, anche
lo è.
Criterio del rapporto e gerarchia di infiniti¶
Immaginiamo che il rapporto fra due termini successivi in una successione
a termini positivi sia asintoticamente uguale a un
numero standard
, cioè che valga
.
- Se
, la successione diverge positivamente.
- Se
la successione converge a zero,
- mentre nulla si può dire se
, perché se il rapporto è indistinguibile da 1, non vuol dire che sia uguale a 1.
Proviamo questo criterio sulla successione , che vale
all’infinito
. Il rapporto da analizzare è:
Quindi la successione diverge positivamente.
Una conseguenza di questo comportamento asintotico è che è un
infinito di ordine superiore a
. Anzi, si può dimostrare, più in
generale, che se
, allora
è un infinito di ordine superiore
rispetto a
: l’esponenziale, se la base è maggiore di 1,
è un infinito di ordine superiore rispetto a qualsiasi potenza con la stessa base.
Per capire quali successioni hanno un comportamento asintotico superiore
ad altre, proviamo alcuni confronti. Per esempio confrontiamo
con
, usando il criterio del rapporto per la successione
.
Abbiamo
Poiché il rapporto converge a zero, il denominatore, cioè , è un infinito
di ordine superiore.
Effettuati tutti i confronti, la gerarchia in ordine crescente risulta:
.
Note
Il criterio del rapporto non vale al contrario: se la successione diverge
non è detto che il rapporto sia e se converge a zero non è detto che sia
. C’è infatti il rischio che il rapporto risulti indistinguibile da 1,
come nei casi di
e
Criterio della radice¶
A volte si ottengono utili indicazioni sul comportamento asintotico di una successione
a termini positivi, calcolando la radice
ennesima
dei termini infiniti
.
Se per ogni si ha
, allora
- se
diverge positivamente
- se
converge a zero
La dimostrazione di questo criterio, che omettiamo, fa riferimento al criterio delle successioni esponenziali.
Criterio del rapporto fra le differenze¶
Il criterio riguarda le successioni che sono quozienti di successioni con lo stesso carattere.
Se e
sono successioni entrambe divergenti o entrambe convergenti a zero e se la successione
ha un comportamento asintotico regolare, cioè converge o diverge, allora anche
la successione
ha lo stesso comportamento asintotico, cioè :
.
La regola vale se le differenze al denominatore hanno tutte lo stesso segno
Per fare un esempio, consideriamo la successione , che è
data dai quozienti di due successioni entrambe divergenti. La regola ci dice che
siccome
, allora anche
La regola è utile quando la successione asintoticamente è un rapporto fra due infiniti o fra due infinitesimi. Allora si può provare a mettere in rapporto le differenze del numeratore con le differenze del denominatore. Se questo rapporto risulta infinito oppure infinitesimo, anche la successione di partenza ha lo stesso carattere.
La regola si spiega graficamente. Supponiamo che la successione sia il
rapporto fra e
, entrambe divergenti e con le
differenze
positive e che il rapporto fra le differenze
converga:
. Mostriamo allora che
converge anche
.
divergano
Immaginiamo di fissare nel piano cartesiano i punti .
Il grafico che risulta è una spezzata che si prolunga verso destra, a causa delle
differenze positive al denominatore. I segmenti di spezzata hanno pendenze date
dai vari
e se queste pendenze all’infinito
convergono, allora uno zoom non standard puntato sull’origine visualizza una semiretta
di pendenza
che è indistinguibile da una semiretta uscente dall’origine.
Per questo vale asintoticamente che
.
Il fatto che la semiretta sembri partire dall’origine dipende dalla visualizzazione
che ci dà lo zoom non standard, come se fosse lontano all’infinito.
Lo stesso ragionamento si può fare se le due successioni convergono a zero, utilizzando questa volta un microscopio non standard.
Sperimentiamo la regola sul rapporto .
Il rapporto delle differenze all’infinito ci dà
Ne concludiamo che è un infinito di ordine inferiore a
.
Convergenza e divergenza delle funzioni¶
Una funzione a dominio continuo può assumere il valore infinito
agli estremi degli intervalli in cui è definita.
In questo caso diremo che la funzione diverge.
Vi sono funzioni che divergono per ,
altre che divergono quando
appartiene alla monade di un numero finito.
Vi sono invece funzioni che all’infinito, oppure quando
si avvicina
indefinitamente ad un dato numero finito, assumono valori sempre più vicini a
un valore finito. In questo caso si dice che convergono.
Per studiare i dettagli, iniziamo da qualche esempio.
Funzioni esponenziali¶
Abbiamo già visto alcuni esempi di questo comportamento delle funzioni.
Prendiamo per esempio, , con
: diverge positivamente
per
mentre converge a zero per
.
Si può anche dire che
diverge positivamente se x
diverge positivamente ed è infinitesima se x diverge negativamente.
Potremo quindi scrivere sinteticamente per questi due casi:
, e quindi, per esempio:
Ancora, una funzione si dice convergere a zero per x che diverge positivamente se per x infinito positivo si ha che f(x) è un infinitesimo. Una funzione si dice che diverge positivamente per x che diverge negativamente se per x infinito negativo si ha che f(x) è un infinito positivo.
Le funzioni divergenti non è detto che divergano solo se diverge la variabile.
Vi sono funzioni il cui dominio esclude particolari valori di x, per esempio
, definita per tutti gli x, tranne
.
In questi casi ci si chiede quale comportamento abbia la funzione se x assume
valori nella monade dei numeri esclusi. Nel nostro esempio, si tratta di
calcolare
, con
infinitesimo
non nullo. Uno dei calcoli è
e il risultato è un infinito positivo o
negativo, a seconda del segno di
.
Supponiamo per semplicità che
sia positivo, allora avremo
.
Abbiamo quindi una funzione discontinua, che diverge (positivamente
o negativamente, a seconda dei numeri che si considerano) quando la
si approssima ai valori
e
.
In questi casi possiamo sottintendere così:
.
Nel primo caso si intende dire che ci approssimiamo a
per valori
maggiori di
(o da destra), nel secondo caso per valori minori
(da sinistra).
Logaritmi¶
Un secondo esempio di funzione divergente per che non diverge è la
funzione logaritmo, che diverge negativamente per gli
infinitesimi
positivi, oltre a divergere positivamente per
che diverge
positivamente. Scriveremo quindi:
.
Funzioni circolari¶
Il seno e il coseno sono funzioni continue e per x divergente mantengono un
comportamento irregolare: oscillante fra i valori e
.
Per esempio, la funzione seno vale zero negli infiniti positivi del tipo
, con
ipernaturale,
mentre vale
negli infiniti positivi del
tipo
.
Per la tangente, i punti interessanti sono del tipo .
Poiché la funzione è periodica, consideriamo solo
.
e
.
Invece per
che diverge la tangente ha un comportamento
asintotico irregolare.
Il comportamento asintotico delle funzioni arcoseno e arcocoseno ...non esiste
perché le funzioni sono continue e definite in un intervallo chiuso. Quindi
mancano i punti di discontinuità nell’intervallo e mancano i punti infiniti per
i quali studiare il comportamento asintotico. Invece l’arcotangente assume
valori infinitamente vicini a per x che diverge positivamente e
assume valori infinitamente vicini a
per x che diverge
negativamente:
.
Graficamente, questo significa che, grazie a un telescopio non standard
posto orizzontalmente in
,
il grafico della funzione arcotangente è indistinguibile da due rette
orizzontali (
) e per distinguere il grafico della funzione
dalle rette occorre valersi anche di microscopi non standard.
Un caso notevole¶
La funzione non è definita in
, quindi è
interessante studiare il suo comportamento per valori di x infinitesimi non nulli.
Abbiamo già visto in esempi precedenti che per
. Quindi avremo
che per
.
Mettendo la funzione in grafico, vediamo che per x che diverge la funzione
è asintotica a zero, perché il denominatore diventa sempre più grande in valore
assoluto e quindi il rapporto
dà risultati sempre più piccoli.
Invece per valori di x molto piccoli, diversi da zero ma prossimi allo zero,
il grafico della funzione si approssima a 1.
Quando una funzione ha questo tipo di comportamento:
,
possiamo esprimerci anche in questo modo: per
oppure, sinteticamente,
, che nel nostro
caso diventa
.
Per tornare al comportamento della funzione, osserviamo che per
manca il valore della funzione, perché in quel punto non è definita, ma il valore
che manca è prevedibile sulla base delle considerazioni appena fatte. Possiamo
quindi risolvere la discontinuità e imporre
, aggiungendo il
risultato mancante.
In conclusione con il nostro intervento ridefiniamo la funzione in questo modo:
Regola di de L’Hôpital¶
Il caso precedente introduce una regola importante, che permette di valutare, nei casi dubbi, il comportamento asintotico del rapporto fra due funzioni. Nell’illustrare questa regola ci accorgeremo di percorrere ragionamenti simili a quelli visti a proposito del criterio del rapporto fra differenze, nelle successioni.
e
sono due funzioni, definite per esempio su un
intervallo illimitato a destra, con
,
sono entrambe derivabili, con
.
Se vale
, allora il quoziente
delle funzioni ha lo stesso comportamento asintotico del quoziente delle
derivate, cioè
Per ogni valore di consideriamo le coppie
e mettiamo in grafico i punti relativi, con gli
come ascisse: ne
risulterà una certa curva nel piano cartesiano. Il grafico si sviluppa verso destra
perché
è crescente (la sua derivata è positiva). Si tratta quindi
del grafico di una nuova funzione, che per un certo valore
avrà pendenza
.
Nel disegno, il telescopio visualizza all’infinito che il grafico della curva è
indistinguibile da una semiretta che ha pendenza .
Osservando l’origine con uno zoom non standard, quindi da una distanza
infinita, si vede la semiretta come se uscisse dall’origine, indistinguibile da
una retta di equazione
.
Questo determina l’uguaglianza all’infinito fra il rapporto delle funzioni e
il rapporto dei differenziali.
Nel nostro esempio abbiamo supposto crescente, ma la dimostrazione
vale anche se
.
Si può applicare lo stesso ragionamento anche se le due funzioni convergono a zero quando x diverge all’infinito e anche quando x converge nella monade di un numero standard.
Esempio¶
Studiamo il comportamento asintotico della funzione nello zero.
Si tratta di una forma indeterminata perché
. Riscriviamo la funzione come un rapporto:
.
In questo modo la forma indeterminata diventa un quoziente fra infiniti.
La derivata del denominatore è
, cioè è sempre negativa e
possiamo applicare la regola di De L’Hôpital per determinare il comportamento
asintotico della funzione:
, che diventa infnitesimo per
. Quindi
Gli asintoti¶
Una retta è un asintoto per una funzione se i loro due grafici sono indistinguibili
a una distanza infinita dall’origine. Per esempio l’asse y è un asintoto per le
funzioni logaritmiche e la retta è un asintoto per
l’arcotangente.
Quadro dei comportamenti asintotici¶
In sintesi, una funzione a dominio continuo può avere questi comportamenti:
Asintoti verticali, orizzontali, obliqui.¶
Non è detto che una funzione abbia degli asintoti, ma se ne ha possono essere di tre tipi e possono anche essere tutti e tre presenti per la stessa funzione.
Asintoti verticali¶
Un asintoto verticale è una retta di equazione ,
per cui la funzione assume valori infiniti
positivi o negativi se
si avvicina infinitamente a
. Questo
accade per le funzioni logaritmo, per le funzioni tangente e per tutte le
funzioni per le quali è possibile uno dei casi seguenti:
.
Una funzione può avere anche infiniti asintoti verticali.
Asintoti orizzontali¶
Gli asintoti orizzontali sono le rette di equazione e possono
valere le scritture:
.
Il primo caso è un asintoto orizzontale destro (per es. ),
il secondo è un asintoto orizzontale sinistro (per es.
).
Una funzione può avere anche entrambi i tipi, ma ovviamente non
più di due.
Asintoti obliqui¶
Una retta del tipo è un asintoto obliquo per
la funzione f(x) se
per valori infiniti di x.
L’asintoto obliquo può essere destro, per
, come nel disegno,
o sinistro
.
Il disegno mostra che la retta, osservata nell’origine con lo zoom non standard,
passa per l’origine anche se , perché da una distanza infinita
. Se la retta è un asintoto obliquo, per esempio destro,
per
e quindi
.
All’infinito, la funzione è quindi indistinguibile da due rette: y=mx+q e y=mx .
Le due rette differiscono in ordinata per q e quindi la funzione è
infinitamente vicina alla prima retta e differisce dalla seconda per
.
Quindi l’asintoto obliquo esiste a queste ben precise condizioni. Ovviamente la funzione può andare all’infinito anche senza che vi sia un asintoto obliquo. Se invece troviamo che c’è un asintoto obliquo, non è detto che q sia diverso da zero.
Esempi¶
- Studia il comportamento asintotico di
.
Il denominatore si scompone in , quindi la funzione non è definita
per
. Studiamo in questi punti il comportamento asintotico.
.
Quindi la retta è un asintoto verticale.
Quando
si avvicina a 2 da sinistra cioè
il valore della funzione cresce a
.
Quando
si avvicina a 2 da destra cioè
,
il valore della funzione decresce a
.
Vediamo cosa succede per
.
Quindi anche è asintoto verticale, ma questa volta il grafico della
funzione va a
avvicinandosi alla retta da sinistra e va a
da destra.
Vediamo cosa succede agli estremi dell’intervallo: per .
Poiché ,
.
Quindi la funzione all’infinito è un infinito.
Vediamo se nell’andare all’infinito, la funzione ha un asintoto obliquo.
A sinistra: all’infinito è indistinguibile da una retta di
pendenza
, e quindi di equazione
.
Per verificare se
studiamo il comportamento asintotico di
.
Quindi l’asintoto sinistro è la retta .
Anzi, poiché i calcoli non cambiano nella ricerca di un asintoto destro,
la stessa retta è anche asintoto obliquo destro. Per concludere,
la funzione ha due asintoti verticali e un asintoto obliquo sinistro e destro.
- Studia il comportamento asintotico di
.
La funzione non è definita per perché
annulla il
denominatore. Quindi studiamo il comportamento asintotico in 0.
è un infinito negativo se
, ma positivo se
.
Infatti
e
.
Se è un infinito:
e
Quindi l’asse x è un asintoto orizzontale destro, mentre la retta
è un asintoto orizzontale sinistro.
Per concludere ci sono due asintoti orizzontali ed uno verticale.
- Studia il comportamento asintotico in zero di
.
Il numeratore e il denominatore diventano infinitesimi per ,
quindi la funzione diventa una forma indeterminata, che proviamo a risolvere
applicando la regola di De l’Hôpital.
.
È ancora il quoziente di due infinitesimi, con espressioni più
complicate. Rinunciamo a sviluppare di nuovo la stessa regola e riprendiamo da
capo, trasformando la funzione.
.
Il vantaggio è che per
infinitesimo
,
quindi possiamo studiare il comportamento asintotico solo di
.
Trattandosi del rapporto fra due infinitesimi, applichiamo l’Hôpital e così facciamo
ogni volta che il risultato ottenuto è un rapporto fra infinitesimi
(il simbolo
indica che si è usata la regola di de l’Hôpital):
Nello sviluppare i denominatori abbiamo sempre tenuto conto che
e per questo abbiamo inserito il simbolo di
al posto =.
In conclusione, la funzione assume valori sempre più prossimi a
per
sempre più prossimo a zero.
Note
Nell’applicare la regola di de l’Hôpital alla funzione
avremmo potuto scegliere anche una strada sbagliata:
,
dato che
.
Si tratta ancora di una forma indeterminata, alla quale applichiamo di nuovo la stessa regola.
Il risultato è ottenuto applicando ripetutamente l’Hôpital e valutando che
per x infinitesimo.
L’errore sta nell’applicare questa valutazione anche nel punto sbagliato
(che è segnato con ”?”), cioè al numeratore all’interno di una differenza.
In quel punto il contributo di
non può essere eliminato,
come non può esserlo all’inizio della seconda riga.
Un fattore asintoticamente indistinguibile da 1 può essere trascurato solo
se moltiplica o divide tutta l’espressione, come avviene
nell’individuare g(x) e per tutti i denominatori dell’esercizio.
Per chiarire, studiamo in zero il comportamento asintotico di
.
Considerando
, la somma al numeratore si riduce e la
frazione poi si semplifica, risultando infinitamente vicina a 2.
Se invece si svolgono con pazienza tutti i calcoli algebrici, al termine
delle semplificazioni, la frazione risulta uguale a 3 ed è il risultato
corretto.
La valutazione
non va fatta in quel contesto perché
con quella sostituzione si provoca la scomparsa di termini di secondo grado
che sono gli unici ad influire sulla somma algebrica, dato che che quelli
di primo grado si eliminano algebricamente.
Note
La regola di de l’Hôpital è di grande aiuto nell’abbassare il grado delle funzioni polinomiali, mentre diventa una complicazione in molti altri casi. Per questi occorre uno strumento più potente, cioè la regola di Taylor che si vedrà più avanti.
- Studia il comportamento asintotico di
La funzione è definita per ogni . In
la
funzione assume la forma indeterminata
. Per usare
la regola di de l’Hôpital riscriviamo l’espressione della funzione e operiamo la
sostituzione
:
.
Per .
Applicando due volte la regola di de l’Hôpital, la forma indeterminata diventa
, che è un infinito positivo. Dunque
,
cioè l’asse y è un asintoto verticale.
Invece
.
Quindi il ramo sinistro della funzione si annulla per valori negativi quando x
si approssima allo zero da sinistra, invece il ramo destro ha un asintoto verticale
nell’asse y.
Per valori infiniti di x usando la stessa sostituzione si ha e
la funzione diventa
che è una forma indeterminata, da risolvere con l’aiuto della regola di de l’Hôpital:
.
Per , se si usa la stessa procedura, sia ha
. Quindi la funzione va all’infinito, agli estremi dell’intervallo di definizione.
Occorre ora verificare l’esistenza di eventuali asintoti obliqui.
Per :
,
dove si utilizza la solita regola in presenza di un rapporto fra due infinitesimi. Quindi l’asintoto obliquo esiste a destra ed ha pendenza 1. Per ricavare q:
che è ancora una forma indeterminata.
Interveniamo con la regola di de l’Hôpital e otteniamo:
.
La retta che funge da asintoto è quindi e si può verificare
che il risultato vale sia per l’asintoto obliquo destro che per quello sinistro.
In conclusione la funzione ha un asintoto verticale e un asintoto obliquo sia destro che sinistro.
Il grafico riprende il disegno precedente, guardando l’origine con lo zoom che ingrandisce 250 volte. Si vede così che l’asintoto, osservato da grande distanza, sembra passare per l’origine: si mantiene il coefficiente angolare e si annulla l’intercetta all’origine, come illustrato nel 15.5.3.
Osservazione banale ma importante¶
La regola di de l’Hôpital si applica al rapporto fra due funzioni, ma è diversa dalla regola di derivazione del rapporto.
Confronta con attenzione le due regole:
de l’Hôpital: nei casi di indecisione e a determinate condizioni: comportamento asintotico di
= comportamento asintotico di
.
Derivata:
.
Riassunto¶
- Le successioni possono avere all’infinito un comportamento regolare o irregolare. Una successione che all’infinito si avvicina ad un certo valore
, si dice che converge a
oppure che
è il suo asintoto. Una successione che all’infinito raggiunge valori infiniti, si dice che diverge (positivamente o negativamente), oppure che diverge asintoticamente. Questi sono i comportamenti regolari.
- Illustriamo 5 criteri che aiutano a stabilire se una successione ha un comportamento regolare e quale sia. Si costruisce così una gerarchia di comportamenti asintotici:
è la scala degli infiniti, in ordine crescente.
- Un asintoto per una funzione è una retta alla quale il grafico della funzione si avvicina indefinitamente. Studiare il comportamento asintotico di una funzione significa cercare se quella retta esiste quando la x si pone agli estremi dell’intervallo di definizione.
- Vi sono asintoti orizzontali, verticali e obliqui e una funzione può averli tutti, oppure alcuni o nessuno. La casistica è riportata nel paragrafo 13.4.1.
- Nel ricercare l’asintoto si ha spesso a che fare con i casi di indeterminazione. Per risolvere le forme indeterminate viene in aiuto la regola di de l’Hôpital, che assicura, solo se sono verificate determinate condizioni, che il rapporto fra due funzioni ha lo stesso comportamento asintotico del rapporto fra le loro derivate.
Esercizi¶
- Calcolando i rapporti opportuni, dimostra la gerarchia dei comportamenti asintotici per le successioni. In particolare dimostra che il rapporto fra
e
è asintotico al Numero di Nepero.
- Applica il criterio della radice al rapporto già noto
- Descrivi il comportamento della funzione
, usando i termini specifici introdotti all’inizio del capitolo.
- Spiega perché la tangente ha un comportamento asintotico irregolare per x che diverge.
- Svolgi autonomamente gli esercizi svolti negli esempi, ricavando anche i risultati che il testo sottointende.
Le derivate di ordine superiore¶
Differenze seconde e di ordine superiore¶
All’inizio del corso abbiamo visto la successione
e messo in tabella i suoi valori e le loro differenze. A quella tabella
aggiungiamo una
riga, per elencare le differenze delle differenze, cioé le differenze seconde,
in simboli
.
I valori delle differenze seconde si ottengono dalla penultima riga, e
le differenze seconde calcolabili sono una di meno rispetto alle differenze prime.
Se troviamo un valore , vuol dire che
, cioé nella riga superiore si trovano in
corrispondenza due differenze prime
consecutive uguali. A sua volta questo vuol dire che nella seconda riga fra i
tre valori
corrispondenti c’è la stessa crescita o lo stesso calo.
Quindi nel grafico della successione i tre punti in questione sono allineati,
perché
i due segmenti consecutivi hanno la stessa pendenza.
Se invece , allora
, cioé
i due segmenti hanno pendenza crescente e formano una spezzata concava verso l’alto,
come i primi 3 punti del grafico. Al contrario, se
,
allora
, e la spezzata è concava verso il basso.
Le differenze seconde coinvolgono necessariamente tre punti consecutivi, come si vede da .
Se poi
, allora
e la
conseguenza è che
, cioé l’ordinata del secondo
punto è la media aritmetica delle altre due ordinate. Poiché le ascisse dei tre
punti sono equidistanziate, il secondo punto è il punto medio fra il primo e
il terzo.
Dal punto di vista del calcolo, le differenze seconde hanno le stesse regole delle
differenze prime. Quindi, data l’espressione di ,
si calcolano le differenze prime con le regole già viste nei capitoli 3 e 4, poi
si applicano di nuovo le stesse regole sull’espressione risultante.
Differenze successive¶
Esistono (e a questo punto sono facili da calcolare) anche le differenze terze,
le quarte e così via. Per esempio, non è difficile scoprire che
.
Abbiamo visto che le differenze prime esprimono l’idea della pendenza dei segmenti,
le differenze seconde esprimono l’idea della concavità. Per le ulteriori differenze,
crescendo l’ordine è sempre più arduo dare un significato geometrico al calcolo.
L’indice che esprime l’ordine della differenza evoca un esponente. Infatti,
guardando l’espressione che sviluppa la differenza di un certo ordine e
confrontandola con l’espressione corrispondente della potenza di un binomio
si scopre che l’analogia è sistematica e puntuale. Per esempio, la differenza di
ordine 4 è: e i
suoi coefficienti sono i coefficienti binomiali per l’espressione
.
L’ordine n della differenza
, pur non essendo un esponente,
produce nel risultato i coefficienti che produrrebbe se fosse l’esponente di un
binomio
.
Rapporti incrementali secondi e di ordine superiore¶
Nelle funzioni a dominio discreto¶
I rapporti incrementali sono i rapporti fra le differenze. I rapporti incrementali di ordine superiore si calcolano per le funzioni a dominio discreto in analogia con quanto abbiamo appena definito.
Data una funzione a dominio discreto
, abbiamo
il rapporto incrementale relativo all’indice k:
il rapporto incrementale del rapporto incrementale, o rapporto incrementale secondo:
.
il rapporto incrementale terzo:
, e così via.
Analogamente a quello che si è visto per la differenza seconda nelle successioni,
il significato geometrico del rapporto incrementale secondo
è la concavità della spezzata che unisce tre punti consecutivi della funzione.
Se
, allora i tre punti sono allineati.
Note
L’analogia stretta fra la differenza nelle successioni e il rapporto
incrementale nelle funzioni a dominio discreto dipende dal fatto che anche la
differenza è un rapporto incrementale, in quanto per le successioni
perché
(k è la successione degli indici, vedi Cap.3).
Nelle funzioni a dominio discreto, se nella funzione
gli incrementi
sono fra loro uguali a
,
la funzione diventa una successione di ragione
, in cui
l’incremento gioca il ruolo dell’indice. Allora:
il rapporto incrementale secondo è:
il rapporto incrementale terzo è
, e così via.
Nelle funzioni a dominio continuo¶
Il rapporto incrementale nelle funzioni a dominio continuo indica il tasso medio di variazione della funzione rispetto all’incremento finito
, cioé
,
dove abbiamo definito con h quella particolare variazione di x.
Il rapporto incrementale secondo, potrebbe essere calcolato anche per una variazione
di x eventualmente diversa da h () ed esprime il tasso
medio di variazione del tasso medio di variazione.
.
Il suo significato geometrico è quello già visto nei casi precedenti. Se il rapporto incrementale secondo è positivo, o negativo, o nullo, la spezzata che unisce i punti del grafico corrispondenti alle ascisse x, x+h, x+h+k è concava verso l’alto, o verso il basso, oppure si tratta di punti allineati.
Se h=k , e quindi i sono uguali, siamo nella situazione più semplice, cioé al caso delle funzioni a dominio discreto, e possiamo scrivere:
,
indicando con
(confronta con il 14.1.1 per i coefficienti).
Sviluppando il ragionamento come nei casi precedenti, arriviamo al rapporto incrementale
di ordine n: .
Derivata seconda e derivate successive¶
Nelle funzioni a dominio continuo abbiamo anche definito il tasso di variazione
puntuale, cioè relativo ad un incremento infinitesimo : si tratta
della derivata.
Seguendo le stesse logiche, definiamo:
La derivata seconda è la derivata della derivata e la indichiamo con
.
E ricordando che la derivata è la parte standard del rapporto differenziale,
quando esso è finito e la parte standard è la stessa per
ogni incremento infinitesimo :
.
Possiamo dare la definizione equivalente:
La derivata seconda di è
,
se la derivata prima è continua, il suo rapporto differenziale è finito e
con la stessa parte standard per qualsiasi incremento infinitesimo
.
Calcolare la derivata seconda di una funzione, o anche le derivate successive, purché esistano, è facile: si applicano ripetutamente le regole di derivazione viste nei capitoli precedenti.
Il significato geometrico della derivata seconda è intuibile: ci informa sulla concavità della curva in quel punto (vedi Esempio 5).
La derivata seconda ha una frequente applicazione anche in fisica:
per esempio, poiché la velocità istantanea si calcola derivando l’equazione
del moto, allora la derivata seconda esprime la variazione puntuale della
velocità istantanea, cioè l’accelerazione istantanea.
Infatti, data l’equazione del moto uniformemente accelerato
, abbiamo:
.
Esempi¶
- Calcolare le derivate successive di
.
...
Quindi le espressioni delle derivate successive dipendono dai resti della divisione per 4.
- Calcolare
.
- Ricavare l’accelerazione nella legge oraria del moto armonico.
Il moto armonico è la proiezione sull’asse x del moto circolare uniforme.
In questo moto, un punto si muove su una circonferenza di raggio R con
velocità angolare e con angolo iniziale
.
L’angolo spazzato dal raggio al tempo t è
e l’ascissa al tempo t che corrisponde al punto mobile, estremo del raggio,
vale allora:
, che è la legge oraria del moto armonico.
La velocità istantanea è data dalla derivata prima e l’accelerazione dalla
derivata seconda. Quindi
.
- Quale è la concavità della funzione
?
. La derivata seconda è negativa per ogni x, quindi il grafico della funzione è concavo verso il basso.
Differenziale secondo e derivata seconda¶
La derivata è stata definita come ,
parte standard del rapporto differenziale, e poi, per semplicità d’uso, abbiamo
convenuto di usare l’uguaglianza semplice
poiché i due
numeri sono infinitamente vicini.
Definiamo per analogia il differenziale secondo:
. Nel caso più generale, gli incrementi relativi ai due
differenziali sono diversi, per cui si ha
.
Ne consegue la definizione di derivata (anche qui per brevità ci limitiamo all’uguaglianza delle parti standard):
Come sempre, perché la derivata esista, il rapporto differenziale deve essere finito
e indipendente da ogni coppia . Allora la derivata è la
parte standard del rapporto differenziale. Quindi, se la derivata esiste, possiamo
ridurci al caso più semplice di
.
Abbiamo:
, e la conseguente definizione di
derivata seconda:
.
Nessuno si sognerebbe di applicare la definizione di rapporto differenziale per calcolare la derivata seconda: molto più facile e immediato applicare due volte le regole di derivazione.
I discorsi relativi alle derivate di ordine superiore vengono di conseguenza:
la derivata di ordine n è la parte standard del rapporto differenziale
. Si possono omettere le parentesi al
denominatore, pur di ricordarsi che n non è un esponente.
Esercizi impegnativi e un caso patologico¶
- Analizza il comportamento asintotico nello zero di
.
Se si conosce il grafico di una funzione f(x) si può dedurre il grafico di
:
- per
i due grafici coincidono
- per
ha lo stesso andamento che ha f(x) fra 0 e 1.
- per
ha lo stesso andamento che ha f(x) per
.
- con i numeri negativi il discorso è simmetrico.
Nel nostro esercizio:
.
Quindi per passa da 0.84 a 0.
In particolare, all’infinito
e l’asse x è asintoto orizzontale
- per
oscilla infinitamente fra -1 e 1,
quindi per oscilla infinitamente fra -1 e 1.
- il grafico è simmetrico rispetto all’origine perché la funzione è dispari.
Per evidenziare che in zero il comportamento asintotico è irregolare, cerchiamo due infinitesimi sui quali la funzione ha valori con parti standard diverse. Per esempio:
che, se k è un ipernaturale infinito N, risulta
.
Invece per si ha che
. In pratica, per N infinito, x è infinitamente vicino a zero e
la funzione assume continuamente valori diversi. La funzione non è definita in zero.
- Analizza il comportamento asintotico di
.
Visto l’esercizio precedente, in cui la funzione nello zero oscilla fra -1 e 1, è facile concludere che ora f(x) oscilla fra le due rette y = x e y = -x
La funzione è pari, quindi il grafico è simmetrico rispetto all’asse y. Dato che le
due rette che limitano il grafico della funzione attraversano l’origine, . Possiamo quindi rendere continua la funzione,
ponendo
.
Vediamo ora se la funzione in zero è derivabile. . Siamo al caso precedente: il rapporto
differenziale assume infinite volte valori fra -1 e 1: la funzione non è
derivabile. Se vogliamo avere una funzione di questo tipo derivabile in zero,
dobbiamo moltiplicare per x (vedi prossimo esercizio).
Per completare l’analisi del comportamento asintotico, vediamo cosa succede all’infinito. Posto abbiamo
.
E’ il caso già analizzato nel Cap. 13 e possiamo concludere che all’infinito
(destro ma anche sinistro) il grafico ha un asintoto orizzontale in y = 1.
- Analizza il comportamento asintotico in zero di
.
Facendoci guidare dal caso precedente, vediamo che f(x) è schiacciata fra le due parabole.
Per questo motivo, si può renderla continua imponendo ,
come nell’es.2. Per la derivabilità, vediamo il rapporto differenziale in zero:
. Quindi
.
L’espressione della derivata risulta:
.
La derivata seconda nello zero non esiste, perché la derivata prima, per quanto
visto sopra, dipende da , che ha un comportamento irregolare.
Un caso patologico¶
Nella definizione di derivata, in questo caso di derivata seconda, c’è un dettaglio
importante: il rapporto differenziale deve avere la stessa parte standard
per ogni coppia di infinitesimi .
Se questo avviene, allora vale anche
,
da cui segue la definizione
(vale in ogni caso l’approssimazione che ci permette di usare il segno = al posto di
).
Ci possono essere funzioni per le quali il rapporto differenziale secondo
ha un comportamento asintotico regolare solo se gli incrementi infinitesimi sono
uguali. Quindi non si può dire che la derivata esiste, perché per il rapporto differenziale non ha sempre la stessa parte standard.
Consideriamo la funzione e studiamola sulla
base degli esempi precedenti.
Dal grafico, a prima vista non sembrano esserci questioni particolari, perché i valori oscillano strettamente a cavallo della cubica.
Rendiamo continua f(x) nello zero: .
Per calcolare le derivate usiamo le definizioni. Per la derivata prima, in zero:
.
Per .
La derivata nello zero è stretta fra le rette y = x e y = 3x
Anche e forse possiamo calcolare la derivata seconda.
Per vedere se esiste:
.
Il primo termine è infinitamente vicino a zero, mentre il secondo oscilla infinitamente fra -1 e 1 nella monade dello zero. Quindi, se la derivata seconda si calcola derivando la derivata prima, cioé applicando successivamente due incrementi infinitesimi diversi, allora non esiste.
Come secondo tentativo, applichiamo la formula della derivata seconda per incrementi
infinitesimi uguali .
Per x = 0,
, per cui
In conclusione, la derivata in zero sembra essere 2, mentre non esiste. Negli esercizi a venire ci occuperemo solo di funzioni prive di questi problemi.
Riassunto¶
- Le differenze seconde per una successione sono le differenze calcolate sulla successione ottenuta dalle differenze prime.
- Analogamente, i rapporti incrementali del secondo ordine per le funzioni a dominio discreto e per le funzioni a dominio continuo vengono calcolati sui rapporti incrementali del primo ordine, seguendo le stesse regole.
- Infine le derivate seconde si calcolano a partire dalle derivate prime, utilizzando le normali regole di derivazione. E tutto questo si ripete per le differenze, i rapporti incrementali e le derivate degli ordini successivi.
- La questione sottile è se per una funzione derivabile esista anche la derivata seconda o le ulteriori derivate. Controllando che esista finito il rapporto differenziale secondo nel punto in questione si risolve l’aspetto della continuità, che è l’aspetto principale e il solo di cui ci occuperemo. Mentre trascureremo il problema di garantire che il rapporto differenziale sia lo stesso per ogni incremento.
- Dal punto di vista grafico, la differenza, il rapporto incrementale e la derivata seconde danno informazioni locali sulla concavità della curva.
Esercizi¶
- Per ogni terna consecutiva di punti rappresentati nel primo grafico del capitolo, illustra l’andamento delle differenze seconde.
- Calcolare le derivate successive della funzione seno.
I Polinomi di Taylor¶
Nello studio del comportamento asintotico di una funzione a volte siamo in difficoltà a risolvere le forme indeterminate. Abbiamo visto che la regola di de l’Hôpital ci può aiutare in alcune di queste difficoltà, molto poco in altre. Presentiamo quindi uno strumento più potente, di utilità generale.
L’idea di base del polinomio di Taylor è di approssimare il valore di una funzione come se si dovesse misurarlo secondo una scala di infinitesimi. Nella vita quotidiana quando misuriamo un oggetto, per ottenere una misura esatta ricorriamo a unità di misura sempre più fini. Per esempio per l’altezza di una finestra usiamo il metro e otteniamo un primo valore approssimato. Poi affiniamo la misura aggiungendo un certo numero di decimetri e con questo ci avviciniamo maggiormente al valore esatto, poi contiamo i centimetri e potremmo proseguire con unità sempre più fini. Lo stesso avviene in altre situazioni concrete: pesare un casco di banane con la bilancia da cucina, dosare attentamente la quantità d’acqua per l’impasto di una torta, ecc. Per “misurare” il valore di una funzione le unità di misura sempre più fini sono i vari ordini di infinitesimi.
Un esempio¶
Riprendiamo un esercizio del Cap.13: studiare il comportamento asintotico nello
zero della funzione .
Cerchiamo una scala di infinitesimi semplice e adatta al confronto. Ricordiamo a questo proposito che due grandezze si confrontano mettendole in rapporto e se il rapporto è asintoticamente una forma di indecisione possiamo valerci della regola di de l’Hôpital.
Per il denominatore, confrontiamo il valore infinitesimo della tangente con quello dell’angolo:
.
Quindi e di conseguenza
.
Per il numeratore, sappiamo già che . Quindi
, da cui
.
Ora però abbiamo un problema perché
e questo
non è possibile perché lo zero è escluso dalle questioni di indistinguibilità.
In pratica ai fini del nostro esercizio, se ci limitiamo a valutare l’infinitesimo
mediante l’infinitesimo x non abbiamo informazioni abbastanza dettagliate.
È come se
fosse la misura di due oggetti di diversa lunghezza:
con il solo metro non sapremmo apprezzare la differenza e avremmo bisogno di misurarla
a decimetri, o centimetri ecc.
Analogamente, per meglio valutare la differenza fra i due infinitesimi
e x ricorriamo al secondo ordine, cioè confrontiamo
.
.
Quindi nemmeno è un’unità di misura
abbastanza infinitesima per misurare la nostra differenza. Dobbiamo ritentare con
:
.
Quindi .
Infine abbiamo che:
e possiamo trascurare gli ulteriori infinitesimi, che sono di ordine superiore.
Tornando all’esercizio:
, che è la soluzione già trovata nel Cap.13, ma con molta più fatica.
Caso generale¶
Dobbiamo valutare il comportamento asintotico di una funzione y=f(x) in un punto a del suo dominio, dove la funzione è derivabile n volte.
Costruzione della regola¶
La funzione è continua, quindi nella monade di a, f(x) è indistinguibile da f(a),
perciò, per . Si tratta di valutare
l’infinitesimo
con una scala crescente di
infinitesimi nella monade di a:
.
Le valutazioni si fanno con i rapporti.
Proviamo dapprima: ,
che è sicuramente un rapporto fra due infinitesimi, quindi una forma indeterminata.
Allora:
.
Dunque , oppure, per meglio valutare anche
questa indistinguibilità:
, dove
l’ultimo termine è infinitesimo di ordine superiore rispetto a (x - a).
Ne consegue che .
Poi si prosegue, valutando rispetto a
.
Per cui , oppure
.
Fissiamo il risultato raggiunto riscrivendo la funzione:
.
Ora deve essere valutato .
.
Da questo segue , il che ci porta a :
.
Abbiamo così ulteriormente sviluppato il polinomio che rappresenta la funzione in a
.
In sintesi¶
Vediamo di capire il percorso e di immaginare lo sviluppo successivo.
Con x nella monade di a, i valori della funzione vengono approssimati con sempre maggiore accuratezza, facendo uso di derivate di ordine crescente e riferiti a potenze crescenti di (x - a).
- Approssimazione di ordine zero:
è un infinitesimo.
- Approssimazione di ordine 1:
.
- Approssimazione di ordine 2:
, con
- Approssimazione di ordine 3:
, con
.
Si può riscrivere la formula pensando che 1 = 0! = 1!, 2 = 2! e che la derivata di ordine zero equivale alla funzione:
![]()
.
Per l’approssimazione di ordine 4 è sufficiente aggiungere
alla formula dell’approssimazione di ordine 3 l’espressione di .
Lo stesso avviene per le approssimazioni di ordine successivo, fino al grado di approssimazione desiderato.
La regola¶
La formula precedente si può riscrivere in modo sintetico:
.
Il polinomio che ne risulta si dice Polinomio di Taylor di ordine n in forma
infinitesima della funzione nel punto
ed esprime la
funzione
nella monade di a come un polinomio di grado minore
o uguale a
nelle potenze dell’infinitesimo
, a meno di
un infinitesimo di ordine superiore
.
Note
Parliamo di “polinomio di grado minore o uguale a n”, e non semplicemente di grado uguale, solo perché può succedere, come in alcuni esempi che seguono, che per un certo n la derivata della funzione sia nulla.
Note
Nel caso che a sia zero, lo sviluppo del polinomio avviene per x, al posto di (x - a) e il polinomio viene spesso chiamato con il nome di Polinomio di MacLaurin.
Esercizi e applicazioni¶
- Sviluppa la funzione seno nell’origine.
Per tornare ai calcoli dell’esercizio precedente, sviluppiamo la funzione seno per a = 0, per cui la formula generale risulta:
.
I coefficienti si ottengono dalla successione delle derivate, calcolate in 0.
I valori 0, 1, 0 -1 si ripetono. Inseriti nel polinomio, annullano i termini di ordine pari. Per cui l’espressione diventa:
In conclusione, la funzione seno si approssima così, per esempio fino al quinto ordine:
oppure in modo equivalente:
(in realtà in questo caso perché le derivate di ordine pari sono uguali a zero).
- Sviluppa la funzione coseno nell’origine.
Cerchiamo prima i coefficienti:
da cui:
- Sviluppa la funzione esponenziale naturale nell’origine.
Le derivate nello zero valgono 1, quindi:
- Sviluppa la funzione
nello zero.
Nel Cap.14 abbiamo già calcolato l’espressione per le derivate successive di questa
funzione: . L’espressione ci serve
per calcolare i coefficienti dello sviluppo in serie, perché nello zero
, quindi, dividendo per k! come è richiesto dalla formula di Taylor:
...
Dato che , lo sviluppo nello zero è:
e quindi
.
- Sviluppa la funzione
nello zero fino al quarto ordine.
Per evitare calcoli pesanti è meglio riscrivere la funzione come un’esponenziale e calcolare di conseguenza le derivate in zero per esprimere i coefficienti del polinomio.
A meno di un infinitesimo di ordine superiore a , lo sviluppo
della funzione nello zero è:
.
- Studia il comportamento asintotico nello zero di
.
Nello zero la funzione è una forma indeterminata, un quoziente di infinitesimi. Sviluppiamo il numeratore e il denominatore come polinomi nell’infinitesimo x. Le funzioni vanno sviluppate quanto è utile: per esempio nelle differenze al denominatore le funzioni si sviluppano fino al termine che rende la differenza diversa da zero. Per il numeratore:
. Quindi, per il numeratore:
.
Per il denominatore, per stimare sviluppiamo la funzione seno fino
al terzo ordine e per stimare
sviluppiamo il coseno fino al secondo:
. Quindi, per il denominatore
In conclusione abbiamo che: .
Confronto fra le due regole¶
- Studia il comportamento asintotico di
in
Prima di tutto verifichiamo che si tratta di una forma indeterminata:
.
Quindi in effetti nel punto desiderato la funzione è quoziente di due infinitesimi
e dobbiamo risolvere la forma indeterminata.
Con la formula di Taylor¶
Se si studia il comportamento asintotico di una funzione nello zero, come negli
esempi svolti fin qui, esprimere il polinomio di Taylor è abbastanza semplice.
Questo esercizio è diverso: il polinomio può essere sviluppato secondo la definizione,
oppure si può operare una sostituzione di variabile in modo da ricondursi al caso
più semplice, così:
posto , si sostituisce x nella
funzione, che diventa:
, che è comunque una forma indeterminata.
Per il numeratore: , da cui
Inoltre:
Sviluppiamo solo fino al primo ordine e otteniamo: e
, da cui:
.
Per il denominatore: .
Quindi: ,
per cui
.
Con la regola di de l’Hôpital¶
Abbiamo risolto l’esercizio con la formula di Taylor al primo ordine, quando potrebbe bastare la regola di de l’Hôpital. Vediamo:
,
che però è ancora una forma indeterminata per
.
Applichiamo di nuovo la regola:
.
In , il numeratore
.
Il denominatore: .
E facendo il rapporto fra numeratore e denominatore si torna al risultato già trovato.
Esercizio impegnativo.¶
- Sviluppa la funzione
nello zero fino al settimo ordine.
Se si calcolano i coefficienti del Polinomio di Taylor, impegnandosi con diligenza nelle derivate successive fino al settimo ordine, ben presto i calcoli diventano ingestibili. Perciò dopo le prime derivazioni, facciamoci guidare da una linea di ragionamento diversa.
Nello zero le derivate seconda e quarta di tan x valgono zero (provare per credere!). Da questo si intuisce, e lo dimostreremo al termine dei calcoli, che lo sviluppo del Polinomio di Taylor nello zero per la funzione tangente ha solo i termini con le potenze dispari, cioé è di questo tipo:
.
Utilizziamo gli sviluppi già calcolati del seno e del coseno:
e
e ricordiamoci che la tangente è il rapporto fra il seno e il coseno:
.
Possiamo limitare al settimo ordine lo svolgimento dei prodotti a sinistra, quindi raccogliendo i risultati secondo le potenze di x abbiamo :
.
Confrontando i due membri dell’uguaglianza, perchè questa sia vera deve succedere che
Il sistema non è difficile: si operano le sostituzioni dalla prima riga progressivamente nelle altre. Al termine si ha:
.
Parità e derivate successive¶
Le funzioni dispari, come il seno e la tangente, hanno un grafico simmetrico rispetto all’origine. Quindi il ramo sinistro del grafico è come se risultasse da una rotazione di 180° del ramo destro intorno all’origine. Per questo motivo, le tangenti al grafico in due punti, che si corrispondono nella simmetria, non possono che essere parallele, cioé hanno pendenza uguale. Questo avviene per tutte le coppie di punti del grafico che hanno ascissa opposta. In poche parole le derivate del ramo sinistro, punto dopo punto, sono uguali alle derivate del ramo destro. Concludiamo che la funzione derivata di una funzione dispari è una funzione pari.
Invece le funzioni pari hanno il grafico simmetrico rispetto all’asse y. In questa simmetria le semirette inclinate con una certa pendenza nel semipiano destro si corrispondono con semirette di pendenza opposta nel semipiano sinistro. Quindi le tangenti al ramo destro del grafico hanno pendenza opposta rispetto alle tangenti corrispondenti al ramo sinistro. Insomma la funzione derivata di una funzione pari è una funzione dispari.
La cosa è dimostrabile. Infatti, in una funzione pari e
in una funzione dispari
. La derivata di una funzione pari è, calcolata in
,
per la parità.
Se calcoliamo l’incremento opposto
, cioé la derivata è dispari.
Nello stesso modo si dimostra la parità della derivata di una funzione dispari.
Quando si esprime una funzione con il Polinomio di Taylor, si devono calcolare derivate successive di ordine dispari e pari. Come mai lo sviluppo di una funzione, per esempio dispari come il seno, nello zero, contiene solo termini di grado dispari? Perché nello zero si annullano i termini di grado pari? La risposta è che i termini di grado pari contengono derivate che sono funzioni dispari e le funzioni dispari nello zero si annullano. Quindi solo i termini di grado dispari non si annullano perché contengono derivate di ordine dispari, che sono funzioni pari.
Vale lo stesso ragionamento per lo sviluppo nello zero delle funzioni pari, come il coseno, che è fatto solo da termini di grado pari. La derivata prima del coseno è una funzione dispari e sono dispari tutte le derivate successive di ordine dispari. Tutte queste nello zero si annullano, per cui restano solo i termini di grado pari.
Il fatto che la parità degli esponenti in una serie di potenze incarni la parità della funzione è un fatto notevole e suggestivo, non limitato alla monade di zero.
Differenza fra funzioni¶
Come abbiamo visto in alcuni esercizi, con il polinomio di Taylor siamo in grado di stimare la differenza di due funzioni indistinguibili nella monade del punto a, misurandola rispetto alla scala di infinitesimi di ordine crescente data dalle potenze di (x - a).
Stimiamo per esempio la differenza .
Se usassimo la regola nota, che la funzione seno nello zero è asintotica all’angolo,
non faremmo molti progressi. Infatti risulterebbe
quindi fra le due funzioni non ci sarebbe differenza. Passiamo invece
all’approssimazione di ordine successivo, per cui:
.
Allora:
, trascurando i termini successivi nello sviluppo dei quadrati, perché di ordine superiore.
Quindi la differenza, espressa per esempio solo fino al quarto ordine è .
Problema: area del segmento circolare.¶
9. Un segmento circolare a una base ha base b e altezza h. Dimostra che l’area del
segmento vale approssimativamente e la formula è tanto più precisa
qanto più b è piccolo rispetto al raggio.
L’area che cerchiamo si può ottenere per differenza fra l’area del settore circolare
e l’area del triangolo. L’area del settore è . L’area del
triangolo è
.
Quindi:
Abbiamo già stimato nell’es.6 la differenza fra l’angolo infinitesimo e il suo seno,
sviluppando quest’ultimo in serie di Taylor fino al terzo ordine. Ricaviamo che
, da cui
.
Vediamo ora il prodotto bh. Per b: .
Invece .
Quindi ho che .
Alla fine:
.
Ordine di contatto fra due curve¶
Il problema precedente ha una soluzione alternativa immediata, ricordando una delle prime lezioni sugli iperreali, dove si mostrava che una parabola nel suo vertice è indistinguibile da una circonferenza con il centro sull’asse, a distanza doppia del fuoco. Uno dei risultati che se ne ricavavano era che l’area del segmento parabolico è 2/3 dell’area del rettangolo circoscritto. Allora possiamo immaginare che il segmento parabolico sia indistinguibile dal segmento circolare, per cui la formula si dimostra immediatamente.
Il disegno riprende il concetto di tangenza fra due curve. Sappiamo calcolare la tangente a una curva, intesa come retta tangente, e abbiamo imparato a risolvere il problema con la derivata prima. Fra due curve però la tangenza è di ordine diverso e con questo si intende che l’approssimazione fra le due curve nel punto di tangenza è valutata meglio con le derivate di ordine superiore.
Seguendo il disegno, ricaviamo la funzione che rappresenta la semicirconferenza
inferiore. Dalla circonferenza ricaviamo
, da cui
.
Sviluppiamo il Polinomio di Taylor nello zero (sappiamo già che f(0)=0):
La semicirconferenza è approssimata nello zero dal seguente Polinomio di Taylor:
.
Si tratta proprio della parabola del disegno e questo dimostra che
le due curve sono indistinguibili in zero. Ma quale è l’ordine del contatto?
Se provi a derivare ulteriormente in zero il polinomio, troverai che la derivata
terza si annulla, mentre la derivata quarta .
Poichè la prima derivata diversa da zero ha ordine 4, diciamo che il contatto è
del terzo ordine. In conclusione, la curva che approssima al meglio la semicirconferenza
è una cubica, non una parabola.
Supponiamo di avere due curve , in contatto nel punto a.
Se si intersecano, allora coincidono in a:
. Se nella monade di a
la loro differenza
è un infinitesimo di ordine superiore a
, ma non a
, allora si dice che hanno un contatto del
primo ordine. Se invece
è un infinitesimo di ordine superiore
a
, ma non a
, allora hanno un contatto del secondo
ordine, e così via.
Confrontare la differenza con i vari infinitesimi
significa calcolare i
coefficienti del Polinomio di Taylor per la differenza delle due funzioni.
Se il contatto è di ordine k la derivata di ordine k + 1 è la prima derivata
che non si annulla.
Concludendo, possiamo dire che il Polinomio di Taylor di ordine n di una funzione è il polinomio di grado n che in un certo punto ha lo stesso valore della funzione e lo stesso valore delle sue prime derivate di grado minore o uguale a n.
Approssimare una funzione con un polinomio¶
Usiamo il Polinomio di Taylor come seconda funzione e cerchiamo di valutare la differenza fra i valori di una funzione data e la sua espressione secondo Taylor. Abbiamo già visto che per un valore a prefissato una funzione può essere approssimata dal relativo sviluppo con il Polinomio di Taylor, approssimazione più o meno buona a seconda del grado del polinomio. Questa volta valutiamo la differenza in generale, cioé non limitandoci alla monade di un valore a prefissato, ma anche al di fuori di essa. Il polinomio che se ne ricava viene detto Polinomio di Taylor in forma finita.
Inizialmente supponiamo per semplicità a=0 e scriviamo (fino al quarto grado, sempre per semplicità) un polinomio generico, con l’intenzione di portarlo ad approssimare la nostra generica funzione nella monade di zero:
.
Taylor ci indica come esprimere i coefficienti, come abbiamo già visto:
Nel caso di una funzione da approssimare non necessariamente nello zero, l’espressione del polinomio si ottiene con lo stesso procedimento, partendo da:
.
Per capire se in questo modo l’approssimazione è efficace anche al di fuori della monade di a , ricorriamo ad un parallelo cinematico: la funzione f(x) descrive il moto di un punto A sull’asse y. Il punto si allontana dall’origine o si avvicina verticalmente a seconda dei valori x. Invece il Polinomio è rappresentato sull’asse Y da un punto B.
Se il polinomio di Taylor che approssima la funzione è solo di ordine zero, è come se il moto di A fosse approssimato da un moto stazionario: B è fermo nella posizione in cui si trova A per x=a. Solo che, quando x varia, A cambia rapidamente posizione sull’asse y, mentre B resta fermo.
Se il polinomio è di ordine 1, si ha . L’espressione è
analoga alla legge del moto uniforme:
: il punto B si muove
a velocità costante, è sovrapposto al punto A per x=a ed ha la sua stessa velocità.
Per x che si allontana da a, il punto A segue la sua legge di moto vario,
mentre B in generale perderà ben presto il contatto perché la sua velocità è costante.
Se il polinomio è di ordine 2, si ha .
L’espressione è analoga alle legge del moto uniformemente accelerato.
Per x=a, i due punti hanno la stessa posizione, la stessa velocità, la stessa
accelerazione e quindi i loro moti si differenziano più lentamente rispetto ai casi precedenti.
E’ chiaro come va a finire: con l’approssimazione al terzo ordine i due moti hanno per x=a posizione, velocità, accelerazione e strappo uguali. Solo che A, per valori x diversi da a, è in generale a strappo variabile, di conseguenza si allontana da B, ma più lentamente rispetto a quanto già visto. E così si può procedere per le approssimazioni di ordine superiore.
La sostanza è che in un intervallo sufficientemente piccolo, sviluppando adeguatamente il Polinomio di Taylor si ottengono valori sufficientemente vicini a quelli della funzione. Lo si può vedere anche confrontando il grafico della funzione con quello del Polinomio di Taylor associato. Ecco due esempi di funzioni trascendenti.
Il primo caso è quello di e del suo sviluppo secondo Taylor nello zero.
Nelle quattro immagini la linea continua è la funzione mentre la linea tratteggiata è
il Polinomio.
La seconda serie riguarda la funzione seno e il polinomio associato, sviluppato fino al settimo ordine. E’ facile accorgersi che man mano che il grado aumenta l’approssimazione migliora anche per valori di x sempre più lontani dallo zero.
Stimare l’errore¶
Cercheremo di dare una stima dell’errore che si commette sostituendo ad una funzione il suo sviluppo secondo Taylor, fino ad un certo grado. Così facendo incontreremo alcuni concetti nuovi ed utili.
Riprendiamo l’esempio del moto rettilineo di un punto A sull’asse y, la cui
posizione è definita da : quindi
. Si tratta di un moto
rettilineo vario, che inizia al tempo t=a e porta il punto A ad allontanarsi
verticalmente da f(a) secondo la legge f(x-a) che stiamo approssimando con lo
sviluppo del Polinomio di Taylor.
Come riferimento per una prima approssimazione scriviamo per analogia
la legge oraria del moto rettilineo uniforme .
Sappiamo che
è lo spazio percorso inizialmente, che corrisponde
al valore f(a) della funzione. v è la velocità costante, quindi è anche la
velocità media tenuta dal punto materiale fra
:
. La sostituzione del simbolo v con
l’espressione della velocità media rende banale tutta la formula, che una volta
semplificata, è un’identità. Solo se conosciamo a priori il valore della velocità
media possiamo dare un senso a questa legge del moto.
In effetti però il punto A si muove con una legge più complicata e meno
prevedibile, che approssimiamo un po’ meglio con la formula del moto rettilineo
uniformemente accelerato .
Qui la velocità media non compare, compare l’accelerazione
costante che è anche l’accelerazione media tenuta dal punto nell’intervallo
considerato. In ogni caso, per raggiungere la posizione s(t), sicuramente A
si è mosso progressivamente dalla velocità iniziale a quella
finale, raggiungendo e superando una posizione in cui aveva per un istante la
velocità media. Se il moto di A segue una legge più complicata, può succedere che in
quell’intervallo di tempo la velocità media venga raggiunta e superata più volte,
accelerando e decelerando, ma il fatto centrale è che è impossibile evitare
di raggiungere la velocità media almeno una volta.
Seguiamo lo stesso ragionamento con il Polinomio di Taylor. La funzione viene
sviluppata al primo ordine in forma finita approssimativamente con
. Portando a sinistra f(a) si esprime
l’errore di valutazione che si farebbe se fermasse lo sviluppo del Polinomio all’ordine
zero:
.
Ora, f(x) è continua, quindi assume tutti i valori f(c) mentre c varia fra
a e x. C’è almeno un c per il quale
,
cioé la velocità istantanea del punto risulta uguale a quella media. Allora l’errore
si può stimare con l’espressione:
.
Noi non conosciamo l’esatta posizione di c (d’altra parte, se la conoscessimo,
non parleremmo più di approssimazione), sappiamo solo che deve esistere.
Proseguiamo nello sviluppo del polinomio, come abbiamo fatto per il moto uniformemente
accelerato .
Questo vuol dire che se ci fossimo fermati al primo ordine, l’errore sarebbe stato
. Per le stesse considerazioni
precedenti, è sicura l’esistenza di almeno un valore c fra a e x in cui
l’accelerazione media è uguale a quella istantanea.
Proseguendo nello sviluppo, le considerazioni si ripetono.
In conclusione, sviluppando il Polinomio di Taylor fino all’ordine n, si
commette un errore espresso da: .
La formula non ha soltanto un significato teorico, dato che il punto c non
è a priori conosciuto. Essa è anche utile in situazioni concrete, per esempio
quando si desidera che l’errore non superi un valore piccolo prefissato e
grazie alla formula si determina l’ordine n di sviluppo del Polinomio, che
consente di limitare l’errore.
Teoremi di Lagrange e di Rolle¶
Il Teorema di Lagrange¶
Riprendiamo, con lieve modifica, la formula dell’errore nell’approssimazione di
ordine zero: e concentriamoci sul
suo significato geometrico. La formula, riscritta come :
dice che in un punto c dell’intervallo considerato la derivata della
funzione è uguale al coefficiente angolare della secante che passa per gli estremi
dell’intervallo: la tangente per c e la secante per gli estremi sono parallele.
Questa formula esprime il Teorema di Lagrange, secondo il quale l’esistenza di c
che rende vera l’uguaglianza è garantita. I ragionamenti che abbiamo seguito rendono
intuitiva l’esistenza di c e questo per i nostri scopi è sufficiente. Quindi
non daremo una dimostrazione formale del teorema.
Riscriviamo di nuovo la formula con maggiore sintesi:
e confrontiamola con quella simile che deriva dallo sviluppo del Polinomio di Taylor:
. Dalle considerazioni fatte fin qui
emerge che la seconda formula è approssimata, mentre la prima delle due è una
uguaglianza esatta. La sua importanza risiede nel fatto che il Teorema di Lagrange
garantisce l’esistenza di c.
Il Teorema di Rolle¶
Una facile conseguenza del Teorema di Lagrange si ottiene se la funzione assume
gli stessi valori agli estremi dell’intervallo, quindi f(x)=f(a), oppure
o ancora
. In questo caso
il teorema diventa: esiste un valore c strettamente compreso fra a e x tale
che in c la derivata si annulla. Dal punto di vista geoometrico si ha che in c
la tangente è orizzontale (come la secante agli estremi). Dal punto di vista cinematico
significa che se il punto ritorna alla posizione di partenza, allora si è fermato
almeno una volta.
Una prima applicazione¶
Trova tutte le soluzioni dell’equazione .
Una prima soluzione si ottiene in modo empirico: x = 0 è una soluzione perché
. Per sapere se ci sono altre soluzioni, e eventualmente quali
siano, consideriamo la funzione
. Cercare i valori per cui si
annulla la funzione è come risolvere l’equazione precedente. Sappiamo già che
, ora cerchiamo un altro
.
Se questo numero esistesse, allora per il Teorema di Rolle esisterebbe anche un
valore c, fra 0 e
, per cui
. Ma
.
In pratica non vi sono altre soluzioni oltre lo zero.
Riassunto¶
- Una funzione
, sempre derivabile, si può esprimere nella monade di un valore a del suo dominio, attraverso un polinomio costruito sulla serie di potenze di (x - a): il Polinomio di Taylor. I coefficienti del polinomio si ricavano dalle derivate successive della funzione.
- Più si aggiungono termini al polinomio, più l’approssimazione ai valori esatti della funzione migliora.
- Il Polinomio di Taylor è uno strumento efficace per studiare il comportamento asintotico di una funzione, indispensabile nei casi in cui la Regola di de l’Hôpital non è di aiuto.
- In genere non è necessario sviluppare il polinomio per un numero elevato di termini. Per esempio, nel valutare la differenza fra due funzioni, che è un caso comune, ci si accontenta di scrivere il Polinomio fino al primo termine non nullo, perché i successivi sono infinitesimi di ordine superiore.
- Attraverso semplici ragionamenti sulla simmetria, si deduce che le funzioni pari hanno per derivata una funzione dispari e le funzioni dispari hanno per derivata una funzione pari. Da qui si ricava che il Polinomio di Taylor di una funzione dispari contiene solo termini di ordine dispari e il Polinomio di Taylor di una funzione pari contiene solo termini di ordine pari.
- Quando due curve sono tangenti si può misurare quanto sono indistinguibili nel punto di contatto. Si esprime la differenza delle due funzioni nel punto di contatto con il Polinomio di Taylor, sviluppandola fino al primo termine non nullo. Il grado dell’ultimo termine nullo è l’ordine del contatto fra le due curve in quel punto.
- L’approssimazione che si ha sostituendo alla funzione il suo Polinomio di Taylor è sempre migliore man mano che aumenta il grado del Polinomio, cioé la differenza fra la funzione e il Polinomio si riduce se il grado del Polinomio è maggiore. Questa differenza è indistinguibile da zero nella monade considerata e si accresce man mano che ci si allontana da essa.
- Si può stimare l’errore che si commette approssimando la funzione con il Polinomo di Taylor scritto in forma finita, cioé per qualsiasi x, anche al di fuori di mon(a).
- Il Teorema di Lagrange garantisce che nell’intervallo considerato esiste un punto c per il quale la tangente al grafico della funzione è parallela alla secante che passa per gli estremi dell’intervallo. Il Teorema di Rolle, di conseguenza, assicura che se questa secante è orizzontale, la derivata per c non può che essere nulla.
Esercizi¶
- Sappiamo che una funzione costante ha derivata zero per ogni x. Dimostra che una funzione che ha derivata zero per ogni x è costante.
La risoluzione numerica delle equazioni¶
Sappiamo risolvere alcuni tipi di equazioni: quelle algebriche di 1° e 2° grado e alcune equazioni fondamentali trascendenti: con funzioni circolari, esponenziali, logaritmiche. Sappiamo anche che per molte equazioni non esiste una formula risolutiva, come avviene per le equazioni di 2° grado. In questo capitolo impareremo alcune tecniche che consentono di affrontare con successo equazioni di ogni tipo, che altrimenti sarebbero non risolvibili.
Iniziamo da un’equazione algebrica di 3° grado: .
Sappiamo che può avere al massimo tre soluzioni.
Ma siamo sicuri che esista una soluzione?
Su questo possiamo essere sicuri.
Consideriamo infatti la funzione
.
Risolvere l’equazione significa cercare gli zeri della funzione e possiamo
affermare con certezza che almeno uno zero esiste perché la funzione è
continua, è asintoticamente indistinguibile da
e, essendo negativa
per
infinito negativo e positiva per
infinito positivo,
non può che annullarsi per almeno un valore di
.
Il primo modo per risolvere è quello tutto tecnologico. Visualizzando il grafico
della funzione si vede che ci sono tre intersezioni con l’asse . Basta
allora ingrandire opportunamente la scala orizzontale e si trovano approssimativamente
le soluzioni: una soluzione pari a circa
, un’altra è circa
e l’ultima circa
. Anche le calcolatrici moderne danno un valido aiuto,
basta immettere, oltre alla funzione, anche l’intervallo entro il quale ci si
aspetta la soluzione: per esempio la soluzione compresa fra 2 e 3, calcolata
in questo modo, fornisce il valore
.
Questo sistema, comodo e efficace, non è sempre usabile. Pur ammettendo l’uso della calcolatrice, abbiamo comunque bisogno di stimare quali siano gli intervalli all’interno dei quali cercare le soluzioni e non è detto che, una volta tracciato il grafico, ci sia facile osservare il piano nei punti giusti e al giusto ingrandimento.
Se si opera solo con carta e matita, una prima ricerca degli intervalli che
contengono una soluzione si può fare spezzando la funzione in due:
, con
.
In questo modo
diventa
, cioé
.
Scritta così, l’equazione chiede di cercare i valori di
per
i quali le due funzioni
sono uguali.
I grafici delle due funzioni possono essere tracciati anche a mano.
Si vede bene che fra 0 e 1 c’è un’intersezione e poi si intuisce che ne esistono altre due perché la cubica si impenna più rapidamente della retta. A mano si costruisce una tabella per verificare in quali intervalli i valori di una funzione scavalchino l’altra.
x | h(x) | g(x) |
---|---|---|
2 | 8 | 15 |
3 | 27 | 23 |
-2 | -8 | -17 |
-3 | -27 | -25 |
Poiché negli intervalli fra 2 e 3 e fra -2 e -3 i valori di una funzione
superano i valori dell’altra, sicuramente in questi intervalli vi sarà almeno
un valore di che rende le due funzioni uguali.
Note
In un caso semplice come questo, si può anche evitare di spezzare
in due funzioni. La tabella allora serve a evidenziare in quali
intervalli la funzione cambia i suoi valori, da positivi a negativi o
viceversa.
Il metodo dicotomico¶
A questo punto cerchiamo di migliorare la precisione, cioé individuiamo
intervalli più stretti nei quali cercare le soluzioni. Un modo facile è spezzare
in due gli intervalli precedenti: per esempio invece di
utilizziamo
e
. Con una tabella simile alla
precedente possiamo verificare che la soluzione è contenuta nel secondo dei due
intervalli. Allora agiremo (con la calcolatrice) su
allo stesso
modo, cioè dividendolo per il suo punto medio e verificando i risultati con la
tabella. Ogni volta la precisione aumenterà e potremo ripetere il procedimento
a piacere, fermandoci quando avremo raggiunto il grado di precisione desiderato,
cioè quando l’ampiezza dell’ultimo intervallo sarà minore dell’errore
prefissato.
Tutta questa serie di operazioni sempre uguali definisce l’algoritmo dicotomico, così detto perché gli intervalli vengono ogni volta spezzati in due. L’algoritmo si può anche descrivere con un linguaggio di programmazione:








Nel listato si prevede che la funzione sia già data. Il controllo sulla
differenza di segno agli estremi dell’intervallo avviene moltiplicando i valori
(quinta riga). è l’errore massimo consentito.
L’algoritmo dicotomico restringe
progressivamente l’intervallo in cui si trova la soluzione.
Fissato il massimo errore accettabile, possiamo restringere l’intervallo fino
a farlo diventare più piccolo di questo errore.
Se ripetiamo infinite volte l’algoritmo, gli estremi arriveranno ad appartenere
alla monade dello zero della funzione e quindi la parte standard di un
estremo è lo zero della funzione.
Modificando leggermente il programma possiamo stampare i valori degli estremi
dell’intervallo e osservare così come quest’ultimo si restringe attorno
ad un valore che possiamo considerare lo zero della funzione a meno di un
errore prefissato.
Ricordiamo che la funzione era
definita a parte e l’errore massimo previsto era .
k | ![]() |
![]() |
---|---|---|
0 | 2 | 3 |
1 | 2.5 | 3 |
2 | 2.75 | 3 |
3 | 2.75 | 2.875 |
4 | 2.75 | 2.78125 |
5 | 2.75 | 2.765625 |
6 | 2.75 | 2.765625 |
7 | 2.7578125 | 2.765625 |
8 | 2.76171875 | 2.765625 |
9 | 2.76367187 | 2.765625 |
10 | 2.76367187 | 2.76464884 |
... | ... | ... |
25 | 2.76372379 | 2.76372382 |
26 | 2.76372381 | 2.76372382 |
27 | 2.76372382 | 2.76372382 |
Come si vede, in 27 cicli, l’algoritmo ha racchiuso la soluzione in un intervallo i cui estremi sono passati dal differire di una unità al differire meno di un centomilionesimo.
Per riassumere la sequenza delle operazioni:
1. Si separano le soluzioni, cioè si definisce per ogni soluzione un intervallo
che la contenga. Questo si fa per via grafica, cercando le intersezioni
del grafico con l’asse . Spesso è comodo riscrivere la funzione
come uguaglianza fra due altre funzioni e cercare i punti di ascissa che
corrispondono alle intersezioni fra i loro due grafici.
2. Individuati gli intervalli, si applica l’algoritmo dicotomico, controllando
che agli estremi dell’intervallo abbia segno diverso,
oppure che
e
nell’intervallo “si scavalchino”.
Tutto ciò si basa su due premesse: la funzione deve essere continua e deve assumere valori di segno opposto agli estremi di ogni intervallo. Lo precisiamo nel prossimo teorema.
Teorema degli zeri di una funzione continua¶
Il procedimento del metodo dicotomico può essere esteso infinitamente, individuando intervalli sempre più piccoli. In questo modo si giunge a dimostrare un’importante proprietà delle funzioni continue.
Se , con
, è l’intervallo da suddividere, le divisioni
successive generano due successioni di estremi
e
, la prima non decrescente e la
seconda non crescente. L’ampiezza del k_esimo intervallo sarà
. Le due successioni sono monotone e limitate,
quindi convergenti, e all’infinito vale
,
cioè la differenza fra i due termini diventa infinitesima e quindi essi
appartengono alla stessa monade e individuano lo stesso numero standard che
chiameremo
.
Immaginiamo e
(ma il ragionamento non cambia nel
caso contrario); grazie al nostro algoritmo avremo per ogni
:
e
, che vale ovviamente anche con indici
infiniti.
Quindi
e
. Ma abbiamo visto che
. Qui entra in gioco la continuità
della funzione, per cui
e
.
Non potendo essere contemporaneamente maggiore e minore di zero,
.
Il Teorema degli zeri quindi assicura che
una funzione continua nell’intervallo ,
che assume valori di segno diverso agli estremi, ha certamente
almeno uno zero in un punto interno all’intervallo.
Note
Si potrebbe dare una dimostrazione analoga anche nel caso che
venga spezzata in due funzioni
,
ma preferiamo cogliere l’occasione per approfondire il discorso sulle
funzioni continue e pervenire in modo diverso allo stesso risultato.
Proprietà delle funzioni continue¶
Se due funzioni sono continue nel punto
, allora
è continua in
anche la loro somma, la loro differenza, il loro
prodotto e il loro quoziente, purché esista in
.
Quindi vale:
Se per , allora
Queste proprietà sono intuitive e discendono direttamente dalle proprietà della
parte standard di un iperreale. Infatti perché è standard e
.
è standard e
, allora
.
La continuità in si può anche esprimere dicendo che
.
In riferimento alla nota precedente, la continuità della differenza
consente di dimostrare il Teorema degli zeri anche nella versione in cui
.
Il metodo delle tangenti¶
Nel suddividere l’intervallo alla ricerca dello zero della
funzione, il metodo delle tangenti è più efficiente del metodo dicotomico, cioè
raggiunge l’obiettivo più rapidamente.
L’idea è di sostituire al grafico della funzione la sua tangente in un punto
vicino alla soluzione
. L’intersezione della
tangente con l’asse
determina il valore
, oppure
, che restringe l’intervallo
attorno a
.
L’equazione della tangente in è data dal Polinomio di Taylor del primo
ordine, sviluppato per
:
Poiché
è lo zero della funzione,
quindi si ricava il valore (approssimato al primo ordine)
Come si vede da questo primo disegno, non è detto che la posizione di
garantisca che la tangente intersechi l’asse orizzontale in modo da restringere
l’intervallo
. Perché questo avvenga occorre controllare che il
grafico della funzione in tutto
abbia la stessa concavità.
Esaminiamo i quattro casi possibili:

L’intervallo attorno a si restringe se le tangenti
successive partono da un grafico con la concavità dello stesso tipo.
Questi quattro grafici appartengono a funzioni
- che hanno valori di segno diverso agli estremi dell’intervallo
- monotone
- concave sempre verso l’alto o sempre verso il basso.
La prima condizione è necessaria perché esista almeno una soluzione
(Teorema degli zeri),
la seconda perché la soluzione sia unica (stiamo cercando di separare le
soluzioni e ci occupiamo solo di ),
la terza perché le tangenti successive restringano l’intervallo approssimando
la soluzione.
Ragioniamo sul primo disegno in fig.16.5, come esempio: la prima tangente è
tracciata in e, a causa della concavità, intercetta
l’asse delle ascisse in un punto
più vicino alla soluzione, e così
avverrà con le tangenti successive, che restringeranno l’intervallo unicamente
da destra.
Iterando il procedimento, si definisce una successione
decrescente, con
È una successione monotona e limitata, che converge a un numero
standard . Per le proprietà viste sulle funzioni continue, se prendiamo
le parti standard, abbiamo
da cui .
Gli altri casi della figura 16.5 si trattano in modo analogo, perché le formule
date per valgono anche per
. Ma come scegliere
quale fomula sviluppare, cioé le tangenti vanno tracciate a partire da
o da
? Se la concavità è rivolta verso l’alto sceglieremo l’estremo con
ordinata positiva, altrimenti quello con ordinata negativa.
E come faremo a controllare dove si rivolge la concavità? Qui interviene una regola che svilupperemo più avanti: se la derivata seconda è positiva nell’intervallo dato, allora la concavità è rivolta verso l’alto, altrimenti è rivolta verso il basso.
Dunque i controlli preliminari da effettuare prima di applicare il metodo delle tangenti sono:
- Il segno agli estremi dell’intervallo: deve essere diverso.
- La monotonia:
costantemente positiva o negativa.
- La concavità:
costantemente positiva o negativa.
- La scelta dell’estremo a cui applicare l’algoritmo, in base ai punti 1. e 3.
Un esempio¶
Applichiamo il metodo delle tangenti alla funzione già usata nel paragrafo del
metodo dicotomico: , anche qui per cercare la soluzione
nell’intervallo
.
agli estremi:
, positiva nell’intervallo: la funzione è crescente.
, positiva nell’intervallo: concavità verso l’alto.
- Le tangenti si tracciano a partire da
.
Anche in questo caso, per accelerare il calcolo usiamo un algoritmo:




Supponiamo che i controlli siano fatti, siano date
e lanciamo il programma con 5 iterazioni. Ecco l’output
k | ![]() |
---|---|
0 | 3 |
1 | 2.78947368 |
2 | 2.76408434 |
3 | 2.76372389 |
4 | 2.76372382 |
5 | 2.76372382 |
Già con quattro iterazioni si perviene alla soluzione con la stessa precisione raggiunta in 27 iterazioni col metodo dicotomico.
Un’applicazione¶
Approssimiamo la radice quadrata con il calcolo delle tangenti. Cercare la radice
quadrata del numero positivo vuol dire risolvere l’equazione
cioé i valori positivi per cui si ha
. Supponiamo per comodità
, allora il grafico della funzione, che è una parabola concava verso l’alto,
ha vertice in
. La soluzione cade nell’intervallo
,
dove le derivate prima e seconda sono positive. Allora la formula da iterare, partendo da
è:
Riassunto¶
- In mancanza di una formula risolutiva per ogni equazione, spesso è necessario ricorrere a metodi approssimati, che uniscono considerazioni di tipo grafico a algoritmi di calcolo, da eseguire su un computer oppure con una calcolatrice.
- Il primo passo è isolare le soluzioni: data l’equazione
, nel grafico di
si individuano approssimativamente gli intervalli di
che contengono le soluzioni. Se la cosa non è immediata ci si può aiutare cercando le intersezioni grafiche fra le funzioni
e
, definite da
.
- Il secondo passo è restringere gli intervalli attorno alla soluzione che contengono, progressivamente, fino a individuarla con la precisione desiderata. Questo è possibile solo se la funzione è continua, monotona negli intervalli considerati e con valori di segno discorde agli estremi (Teorema degli zeri).
- Abbiamo descritto due metodi per restringere gli intervalli. Il primo è il metodo dicotomico, che consiste nel dividere in due ogni intervallo e poi ripetere il procedimento solo per quella metà in cui si trova la soluzione.
- Il secondo è quello delle tangenti, che usa l’equazione della tangente al grafico ad un estremo dell’intervallo per individuare un nuovo estremo più vicino alla soluzione.
- Il metodo delle tangenti è assai più efficiente del metodo dicotomico, ma richiede anche il controllo sulla concavità del grafico, oltre a quelli sulla continuità, sulla monotonia e sul segno della funzione agli estremi.
Esercizi¶
- Applica il metodo delle tangenti al calcolo della radice cubica di un numero positivo.
Massimi, minimi e flessi¶
Due problemi di ottimizzazione¶
I due problemi seguenti orienteranno il nostro studio a prendere confidenza con le applicazioni più tipiche. Il primo problema è già stato oggetto di studio nel libro sugli iperreali.
La scatola più capiente¶
Partendo da un cartoncino di formato A4, si cerca di ricavare la scatola (senza coperchio) più capiente, praticando alla giusta distanza due tagli perpendicolari a lato di ogni angolo, in modo da escludere in tutto 4 quadrati uguali. Calcola al millimetro la misura dei tagli opportuna.
I fogli di formato A sono costruiti così: il foglio A0 è un rettangolo di area
e con lati in rapporto uguale a
. Viene diviso a metà
lungo il suo lato maggiore per ottenere due fogli di formato A1,
i quali a loro volta vengono tagliati con lo stesso criterio, formando ciascuno
due fogli di formato A2. Lo stesso avviene per i formati successivi, che indicano
fogli sempre più piccoli, con l’area dimezzata rispetto ai formati precedenti.
Quindi se a è il lato maggiore per esempio del rettangolo di formato A3 e b
è il lato maggiore del rettangolo di formato A4, si ha che
, che è anche il rapporto fra le
dimensioni di uno stesso foglio. Siccome il foglio formato A0 ha area di
, il foglio di formato A4 avrà area
, dove
è il lato per esempio minore. Quindi
.
Moltiplicando per
si ottiene l’altra dimensione, di
Per indicare più brevemente i calcoli poniamo e
.
Una volta ottenuto il risultato lo moltiplicheremo per il vero valore di
.
Le dimensioni iniziali della scatola ideale vengono accorciate di
,
così avremo un volume pari a
. Per cercare il volume massimo
consideriamo la funzione
, definita nell’intervallo
, perché non si può pensare di praticare il taglio
oltre la metà del lato minore. Consideriamo gli estremi dell’intervallo inclusi:
sappiamo che a distanza zero e a distanza
da un vertice
non ha senso praticare il taglio perché il volume risulta nullo:
.
Senza nessun taglio, la scatola non esiste e il volume è nullo. Si provano
tagli via via più profondi e più distanti dai vertici, si piegano i margini,
la scatola prende forma e il volume cresce. Sia arriverà ad un taglio
(almeno uno) di misura
che darà luogo al volume massimo.
Il grafico di
, in corrispondenza di
avrà
la tangente orizzontale, perché la funzione che rappresenta il volume cresce fino
al suo massimo, poi decresce. Quindi per
la derivata della
funzione si annulla.
Calcoliamo la derivata e poniamola uguale a zero:
. È un’equazione di secondo grado, le cui
soluzioni sono accettabili solo se appartengono all’intervallo dato.
Le considerazioni precedenti ci dicono che almeno una soluzione deve esistere:
ne abbiamo la certezza esaminando
.
Quindi
Sostituendo e
si ottiene una sola soluzione
nell’intervallo dato
e infine, moltiplicando per
si perviene al valore
.
Il taglio ottimale risulta perciò di circa
.
Il cilindro di area minima¶
Fra tutti i cilindri di volume dato, trova le dimensioni del cilindro con la minima area totale.
La formula che esprime il volume di un cilindro è (r è
il raggio, h è l’altezza). Se il volume è dato, l’altezza dipende dal raggio:
. La formula della superficie totale dipende anch’essa
da altezza e raggio:
e può essere riscritta come
funzione che dipende unicamente dal raggio
.
Il primo addendo indica l’area laterale. Poiché il raggio vi compare al denominatore,
vuol dire che l’area laterale è infinita se il raggio è infinitesimo,
cioè il cilindro è sottilissimo e altissimo. In questo caso le due aree di base,
cioè il secondo addendo, danno un contributo infinitesimo. Al contrario,
se il raggio è infinito, l’area laterale risulta infinitesima e le aree di base
sono infinite, cioè il cilindro è piatto e larghissimo. Fra queste due situazioni
estreme ci sarà senz’altro un valore intermedio del raggio tale da rendere
minima l’area totale. La funzione è definita nell’intervallo
ha quindi un grafico che scende dall’infinito per
prossimo
a
e vi risale per
. Il grafico ha senz’altro almeno un
punto di minimo, nel quale la tangente è orizzontale, come già visto.
Il risultato non è tanto importante in sè, perché un semplice algoritmo, eseguito al computer, avrebbe potuto calcolarlo per ogni dato volume. E’ invece significativo perché ci dà indicazioni preziose sulla forma del solido. Mettiamo in rapporto l’altezza e il raggio:
Fra gli infiniti cilindri di dato volume, quello di area minima ha l’altezza pari al diametro. La sua sezione verticale passante per il diametro è quindi un quadrato.
Note
Restando aderenti alle situazioni concrete, si danno per scontate alcune questioni teoriche (sulla continuità delle funzioni, sull’esistenza della soluzione, ecc), e i procedimenti risolutivi arrivano ai risultati senza intoppi. Non tutti i casi sono però così fortunati, quindi ora è il momento di esaminare la questione nei suoi aspetti generali.
Generalità sui massimi e sui minimi¶
Il disegno mostra il grafico di una funzione che due punti di massimo relativo
in e
, di cui quest’ultimo è anche
massimo assoluto, e tre punti di minimo relativo in
,
fra i quali
è anche minimo assoluto.
- Massimo assoluto vuol dire
per tutti gli
del dominio.
- Massimo relativo:
per tutti gli
del dominio, infinitamente vicini a
.
- Minimo assoluto vuol dire
per tutti gli
del dominio.
- Minimo relativo:
per tutti gli
del dominio, infinitamente vicini a
.
Non è detto che una funzione abbia un massimo assoluto: può averne uno, nessuno
o anche infiniti e lo stesso vale per i minimi assoluti. Una funzione come la
tangente, nell’intervallo ,
oppure come la retta
nell’intervallo
, non ha né massimi
né minimi. Invece la funzione seno, considerata sull’asse iperrereale, ha infiniti
massimi e minimi assoluti. La questione dell’esistenza certa di massimi o minimi
assoluti è legata alla continuità della funzione e al fatto che l’intervallo
contenga gli estremi. Questo non esclude che anche altre funzioni, discontinue oppure definite su intervalli aperti, abbiano di questi punti.
Teorema: Se una funzione è continua e definita su un intervallo
chiuso e limitato
, allora certamente esiste un punto
interno all’intervallo per il quale la funzione ha un massimo
(minimo) assoluto.
Dimostrazione: Consideriamo .
Poniamo
e
.
Dividiamo l’intervallo per il suo punto medio
e
andiamo a cercare se in
esiste un punto
tale
che in quel punto la funzione supera (o eguaglia) i valori che assume
nella seconda metà
:
.
Se questo
esiste, allora concentriamo il lavoro successivo solo
sulla prima metà di
, cioè su
, altrimenti
ci concentreremo sulla seconda metà,
. Nel primo caso poniamo
e
, nel secondo sarà:
e
. A questo punto si ripete il procedimento: si trova il punto
medio del nuovo intervallo
e ci si concentra
sulla metà che contiene
tale
per tutti gli
dell’altra metà. E così via. Con questa tecnica si costruiscono due
successioni dei valori
e
, che rappresentano gli estremi
sempre più vicini di intervalli che si stringono sempre più attorno al punto
per il quale
assume un valore maggiore o uguale a tutti quelli assunti per gli
esterni.
Le due successioni sono monotone e limitate, quindi convergono (v. Par. 13.1.2).
La differenza fra due termini
è infinitesima per indici infiniti:
Le due successioni convergono allo stesso numero standard
,
con
e
per
tutti gli
esterni alla monade di
.
Quindi
ha in
un punto di massimo assoluto.
Note
Il teorema vale anche per i punti di minimo assoluto. Basta infatti
considerare la funzione e procedere con una dimostrazione analoga.
Teorema. Nei punti di massimo (minimo) interni a la derivata si annulla.
Infatti se il punto è di massimo,
. Per
si ha
, mentre se
. La parte standard del rapporto differenziale
non può essere contemporaneamente positiva e negativa, perciò
.
Note
Anche gli estremi dell’intervallo possono essere di massimo o di minimo,
ma non è detto che la derivata in quei punti sia nulla. Per esempio questo accade
per nel disegno. Inoltre vi possono essere massimi e minimi
per i quali la derivata non esiste, come per
nell’origine.
In conclusione una funzione definita e continua su un intervallo chiuso e limitato ha certamente un massimo e un minimo assoluti e questi punti vanno cercati dove la derivata si annulla, oppure agli estremi dell’intervallo oppure dove la derivata non esiste.
Esempio 1¶
Cercare massimi e minimi di
La funzione è continua, perché è somma di funzioni continue. All’infinito
è asintotica a , quindi diverge positivamente:
. La funzione ha quindi un minimo assoluto, non
un massimo assoluto, oltre ad altri eventuali massimi e minimi relativi.
Ricerca del minimo assoluto¶
Il punto va ricercato
- dove eventualmente si annulla la derivata, oppure
- dove la derivata non esiste, cioè in
.
Per capire quest’ultimo punto, consideriamo che
è la somma di funzioni derivabili ovunque più la funzione
valore assoluto, che è non derivabile nell’origine perché qui vi
ha un punto angoloso. Quindi complessivamente
non è derivabile nell’origine.
Calcoliamo la derivata e uguagliamola a zero.
Per :
(cercheremo eventuali soluzioni positive).
Per
(soluzioni negative).
Soluzioni positive¶
Riscriviamo l’equazione come e cerchiamo
graficamente le intersezioni eventuali fra le due curve.
Si intuisce l’esistenza di due soluzioni, di cui la prima nell’intervallo
e la seconda nell’intervallo
. Ricaviamo la prima soluzione dal Teorema di Ruffini:
e la seconda abbassando il grado del polinomio:
L’unica soluzione positiva di
è
.
Soluzioni negative¶
L’equazione si può riscrivere come
.
Il metodo del confronto fra i grafici è di aiuto per capire che non esistono
soluzioni negative, perché i due grafici non si intersecano per
.
Il valore del minimo assoluto¶
Dobbiamo tener conto anche di , dove la derivata non esiste.
Non resta che calcolare i valori di
nei tre punti
che possono dare luogo ad un minimo assoluto.
. È quindi quest’ultimo
il valore minimo assoluto assunto dalla funzione.
Eventuali punti di massimo e minimo relativi e grafico¶
Abbiamo due punti da discutere: in la derivata non esiste e in
la derivata è nulla. Che tipo di punti sono questi, per
?
Riguardando le considerazioni iniziali sulla continuità e sugli asintoti,
si può intuire che il primo sia un punto di minimo relativo, il secondo di massimo
relativo e per averne la prova basterebbe calcolare i valori di
per
prossimi ai valori in discussione.
Possiamo però applicare le tecniche già apprese e procedere in modo
più completo ed elegante.
Per il polinomio
, che
è la funzione valore assoluto con il vertice in
. Dunque, nella
monade di zero
, il che corrisponde al fatto che per
ha un minimo relativo.
Per studiare il comportamento (approssimato) di per
usiamo lo sviluppo in serie di Taylor del secondo ordine:
.
Calcolando
si ottiene
, quindi:
, quindi per
la funzione ha un massimo relativo.
Ecco infatti il grafico della funzione, disegnato assieme ai grafici di
e di
, che approssimano la
funzione negli ultimi due punti considerati.
Considerazioni sulla derivata seconda¶
Gli ultimi calcoli, svolti con l’aiuto del polinomio di Taylor al secondo ordine, suggeriscono qualche ragionamento di grande utilità.
è l’espressione che vale
se
. Poiché
è un fattore positivo,
il segno della derivata seconda, calcolata in
determina se
oppure
, e quindi se
è
un punto di minimo o di massimo relativi. La procedura è:
In un punto in cui la derivata prima si annulla, si controlla il segno della derivata seconda. Se in quel punto la derivata seconda è positiva, si tratta di un minimo relativo. Se invece è negativa, si tratta di un massimo relativo.
Se anche la derivata seconda si annulla¶
In questo caso la differenza dipende dal termine del terzo
ordine del Polinomio di Taylor, perché
.
cambia segno a seconda che
sia maggiore o minore di
e, se la derivata terza è positiva,
segue il segno di
. In questo caso, cioè nel caso della derivata
terza positiva con le derivate prime e seconde nulle, il grafico della funzione
incrocia il grafico della tangente orizzontale nel punto
,
passando da valori inferiori a sinistra di
a valori superiori,
a destra. Si tratta quindi di una funzione crescente nell’intervallo, ma che
in
ha un punto a tangente orizzontale. Tale punto, che non è di massimo
o di minimo relativi, è chiamato punto di flesso orizzontale.
Se infine la derivata terza è negativa, con la derivata prima e seconda nulle,
possiamo svolgere considerazioni analoghe e individuare in
un
punto di flesso orizzontale di una funzione con andamento decrescente nell’intervallo.
Se anche la derivata terza si annulla¶
In questo caso possiamo riprendere le considerazioni svolte al titolo precedente
perché il segno di dipende dal termine del quarto ordine
del polinomio di Taylor. Se la derivata quarta è positiva abbiamo un minimo
relativo, altrimenti un massimo.
Regola generale In un punto dove si annullano le derivate prima e seconda, si calcolano le derivate successive fino alla prima derivata che non si annulla. Se questa derivata è di ordine pari, si svolgono le considerazioni già viste per la derivata seconda. Se questa derivata è di ordine dispari, siamo in presenza di un punto di flesso orizzontale.
Punti di flesso¶
Vengono chiamati flessi i cambi di concavità del grafico di una funzione. Nei punti di flesso la tangente al grafico sembra una retta secante: la funzione si avvicina al punto di tangenza per esempio da sinistra mantenendosi più bassa, cioè per valori inferiori, concava verso il basso; superato il punto di flesso troviamo la funzione dalla parte opposta della tangente, cioè con valori maggiori e concava verso l’alto. In questo caso si dice che il flesso è ascendente. Se invece a sinistra del punto di flesso la funzione è concava verso l’alto poi interseca la “tangente” e cambia concavità rivolgendosi verso il basso e assume valori inferiori alla tangente, allora il flesso si dice discendente. I flessi possono essere orizzontali, come già visto nell’esempio, oppure obliqui, nel senso che la retta tangente è inclinata. In questi casi la derivata prima nel punto in questione è diversa da zero.
L’equazione della tangente di nel punto
è
, come sappiamo. Si tratta del Polinomio
di Taylor del primo ordine.
La differenza fra i valori della funzione e quelli della tangente,
usando il Polinomio al secondo ordine, è
ed è una differenza che ha il segno di , purche sia
diversa da zero. Questo vuol dire che se per esempio il grafico della funzione
a sinistra di
è tracciato sotto il grafico della tangente, allora
resta sotto anche a destra di
.
Se invece la derivata seconda è nulla e la derivata terza no, scriviamo
, che, come
abbiamo già visto, cambia segno in relazione a
, il
che costringe il grafico della funzione a scavalcare la retta “tangente”.
Criterio delle derivate successive¶
Se per si annulla la derivata seconda
, calcola
derivate successive, fino alla prima derivata
e controlla:
è dispari: allora
è un punto di flesso. Se
il flesso è ascendente, altrimenti è un flesso discendente. Se inoltre anche
il flesso è orizzontale (ascendente o discendente).
è pari:
non avremo un flesso, ma solo indicazioni sulla concavità.
I flessi per l’esempio 1¶
Concludiamo l’esercizio precedente con la ricerca dei flessi.
Cerchiamo quindi dove si annulla la derivata seconda e se in quel
punto la prima derivata non nulla è di ordine dispari.
Abbiamo per , che si annulla per
. Escludiamo :
, dove
non è derivabile,
e calcoliamo
quindi
.
Si tratta quindi di un flesso ascendente.
Si può controllare che per le uniche soluzioni possibili non sono accettabili.
Esempio 2¶
Individuiamo i flessi per la funzione statistica della distribuzione normale
Cerchiamo quindi i punti per i quali si annulla la derivata seconda, ma non la derivata terza.
, che si annulla
per
, positiva per
(flesso ascendente) e negativa per
(flesso discendente)
come è prevedibile per la parità della funzione.
Terzo problema di ottimizzazione¶
Si vuole ritagliare un disco di raggio dato per farne un settore
circolare da vvolgere in modo da ottenere un cono. Calcolare il settore utile
a generare il cono più capiente.
Se il settore che si ricava è sottile, il cono è eccessivamente stretto e
poco capiente. Lo stesso avviene per un settore eccessivamente largo, che genera un
cono troppo basso. Esiste quindi una misura intermedia ottimale di angolo
al centro , che corrisponde al volume massimo del cono.
Occorre trovare la relazione che lega l’angolo (in radianti) al volume
del cono.
La formula del volume del cono è , dove
è il raggio di base del cono che si genera. Questo raggio è legato alla circonferenza
, che è l’arco del settore circolare. Quindi
.
, il raggio del disco, nel cono diventa l’apotema. Questo ci consente di ricavare l’altezza
del cono:
.
La funzione da ottimizzare, che esprime il volume in funzione dell’angolo è
La variazione della funzione è data dal variare di ,
che chiameremo
, mentre il fattore
è una costante che cambia i valori della funzione ma non influisce sugli
per i quali si ha il volume massimo. Infatti
e
sono direttamente proporzionali. Anzi, per rendere ancora più veloce l’individuazione
del punto di massimo, possiamo considerare
.
e
sono entrambe definite su
, sono continue
e derivabili all’interno dell’intervallo, sono nulle agli estremi e raggiungono
il massimo assoluto per lo stesso
, ovviamente con valori
che sono uno il quadrato dell’altro.
Dal punto di vista concreto, non dovremmo considerare praticabili angoli come
e
, ma includiamo ugualmente questi valori come estremi
perché definire la funzione sull’intervallo chiuso e limitato è una delle condizioni
che garantiscono l’esistenza del massimo assoluto. Data la situazione, escludiamo
che il punto di massimo sia un estremo dell’intervallo e cerchiamo quindi solo
i punti interni per i quali si annulla la derivata.
L’unica soluzione accettabile è l’ultima, positiva, e di conseguenza
e
.
Per avere una risposta concreta, vediamo quanto valgono in gradi
radianti.
.
Usiamo le formule iniziali per ricavare il raggio
e l’altezza
del cono ottimale.
Ne consegue che il cono ottimale ha il raggio di base che è
volte l’altezza.
Riassunto¶
- I massimi e i minimi di una funzione sono i valori estremi che la funzione raggiunge in un intervallo. I massimi, come i minimi, possono essere assoluti o relativi. Sono assoluti quando sono i valori maggiori (i minori), considerando tutto l’intervallo di definizione. Sono relativi se questo avviene considerando intervalli ristretti attorno ai punti in questione. I massimi (minimi) assoluti sono anche massimi (minimi) relativi, mentre non vale il contrario.
- Una funzione, continua o discontinua, può avere nessuno, uno, alcuni o infiniti massimi (minimi) assoluti e relativi.
- L’esistenza di un massimo (minimo) assoluto è garantita per le funzioni continue definite su un intervallo chiuso e limitato, per i punti interni all’intervallo. Non è garantita agli estremi dell’intervallo e per le funzioni discontinue.
- Nelle condizioni del punto precedente, in almeno un punto la
derivata prima della funzione è nulla. Calcolare per quali
la
è la prima strategia alla quale ricorrere per trovare i punti di massimo e di minimo.
- Quando si annulla la derivata prima, si può indagare ulteriormente per capire la natura del punto in questione. Se in quel punto la derivata seconda è positiva, il grafico ha una concavità verso l’alto e siamo in presenza di un minimo, se è negativa la concavità è verso il basso e siamo in presenza di un massimo.
- La derivata prima si annulla anche nei punti di flesso orizzontale, che sono i punti in cui il grafico della funzione cambia concavità. In questo caso anche la derivata seconda si annulla nel punto.
- Il criterio delle derivate successive (17.6) consente in generale di individuare massimi, minimi e flessi delle funzioni pìù volte derivabili nell’intervallo (estremi esclusi)
Esercizi¶
- La capacità della scatola calcolata nel primo esempio del capitolo è di 1.13 litri. Quale è la misura del taglio che genera una scatola con la capacità di 1 litro? Scrivi l’equazione risolvente e applica i metodi approssimati per risolverla.
I grafici delle funzioni¶
In quest’ultimo capitolo utilizziamo le conoscenze già viste, precisandole e approfondendole, e ne sviluppiamo di nuove per imparare a disegnare manualmente il grafico di una funzione. Molti software matematici, alcuni anche gratuiti e online, e molte calcolatrici scientifiche sono oggi in grado di svolgere perfettamente questo compito. Lasceremo a questi utili strumenti di calcolo la parte più macchinosa e meno attraente e terremo per noi la parte più nobile del compito, cioè la previsione e la valutazione delle proprietà del risultato.
Dettagli sul dominio¶
Finora abbiamo usato come dominio delle funzioni gli intervalli di numeri
, oppure
, o
, o infine
.
Con queste notazioni puntiamo l’attenzione sui numeri
interni
all’intervallo e sottintendiamo che i numeri
siano esterni
e che infine
siano i punti di frontiera del dominio.
Trattandosi di numeri iperreali, cioè di numeri sui
quali dobbiamo poter indagare anche con microscopi non standard, dobbiamo
precisare alcune cose, che riprendiamo dal primo volume.
Una volta individuata la proprietà caratteristica di un intervallo
della retta reale, sappiamo definire per estensione l’intervallo corrispondente
di iperreali: si tratta dei numeri che hanno la stessa proprietà.
Per esempio da un intervallo di reali
passiamo
a
di iperreali.
Sappiamo anche che ogni funzione reale di numeri reali
ha una corrispondente funzione
iperreale di
numeri iperreali e che rinunciamo a scrivere cose come
oppure
per semplicità e perché diamo per scontato che
se l’argomento è un numero non standard allora stiamo usando l’estensione iperreale
della funzione.
Classificazione dei punti del dominio¶
Dato un intervallo e il suo complemento
di reali, consideriamo
le estensioni iperreali
. Chiamiamo
- punti interni di
quelli per cui
, cioè i punti che intendiamo siano contenuti in
con la propria monade
- punti esterni di
quelli per cui
, la cui monade non è contenuta a
- punti di frontiera per
quelli per cui
, nella cui monade ci sono sia punti di
che punti del suo complemento
I punti possono essere solo in una di queste tre situazioni, rispetto a .
Quando studiamo il comportamento asintotico di una funzione in un punto, in realtà
siamo interessati ai valori che la funzione assume nei punti infinitamente vicini,
quindi diversi dal punto indicato. Per esempio significa
, cioè
per tutti gli
infinitamente vicini a
, ma in generale diversi da
. Infatti
può anche succedere che la funzione non sia definita per
, mentre
deve esserlo per
.
È il caso tipico dei punti di frontiera degli intervalli aperti di iperreali,
per i quali ci aspettiamo che la funzione sia definita per la monade destra di
e per quella sinistra di
.
A volte invece non possiamo studiare il comportamento asintotico della funzione
per
perché
solo
appartiene a
e non la sua monade, o meglio
. Allora si dice che siamo in presenza di
un punto isolato.
- punti isolati di
quei punti di frontiera per cui
, cioè essi sono gli unici elementi comuni sia alla propria monade che all’estensione di
.
In conclusione, è possibile studiare il comportamento asintotico di
solo per i punti interni di
e per i punti di frontiera non isolati,
perché in entrambi i casi
.
Questi punti sono quelli utili per noi ed hanno un nome particolare:
- punti di accumulazione di
quei punti per cui
, cioè punti per i quali ogni monade contiene dell’estensione di
almeno un punto diverso
.
Perciò se è un punto di accumulazione per il dominio
di
, possiamo dire che
se
.
Per esempio, se accade che , si dirà che
è un
punto di accumulazione destro per il quale la funzione è un infinito positivo.
Esercizio¶
Dato l’insieme , definisci l’estensione
di
, i suoi punti interni, esterni, isolati, di frontiera di accumulazione.
L’estensione si ottiene per
ipernaturale infinito,
quindi aggiungendo i punti
. Quindi
è un
punto di accumulazione per l’insieme
, mentre gli altri punti,
che si ottengono per
finito, nelle loro monadi non hanno altri elementi
dell’insieme esteso . Sono punti isolati e dunque sono punti di frontiera.
Abbiamo quindi un insieme costituito da infiniti punti di frontiera, uno dei quali
è anche di accumulazione: un insieme senza punti interni.
Note
Un punto che appartiene ad un insieme non è detto che sia interno all’insieme. All’insieme appartengono i punti interni e quelli di frontiera, fra i quali anche quelli isolati.
Immaginiamo che sia il dominio della funzione
. Possiamo studiare il comportamento asintotico di
solo per
, cioè per i punti
infinitamente vicini
a
e diversi da
. Infatti
è l’unico punto di accumulazione.
è il punto di accumulazione sinistro per cui
è un infinito negativo.
Si può ottenere lo stesso risultato valutando
e
quindi
è un infinito negativo.
In aggiunta, osserviamo che il differenziale non è calcolabile
(e quindi nemmeno la derivata), perché mancano punti interni al dominio.
Uno studio di funzione completo: esercizio guida¶
Sappiamo già come ricavare parecchie indicazioni sul grafico di una funzione. Sappiamo che la derivata prima ci dice se la funzione è crescente o decrescente, che i punti a derivata nulla sono o di massimo o di minimo o di flesso orizzontale, che il segno della derivata seconda ci indica la concavità. Inoltre se la prima delle derivate successive non nulle è di ordine dispari avremo un flesso ascendente per la derivata positiva (quindi funzione crescente), altrimenti discendente (quindi decrescente).
Per applicare le nostre conoscenze e completarle eseguiamo lo studio di
Il dominio¶
Il dominio è parte integrante della definizione della funzione e se non viene
esplicitamente indicato si assume che sia il più ampio intervallo di reali per i
quali la funzione ha significato. La nostra non è calcolabile se il
denominatore è zero e in più il numeratore è definito per valori
positivi.
Le due condizioni (di esistenza) sono quindi
Il disegno corrispondente è il semipiano positivo, intendendo escluso anche
, punto nel quale disegniamo un cerchietto vuoto.
La simmetria¶
Si cerca di stabilire se la funzioni ha simmetria. Ricordiamo
- Se
la funzione è pari e il suo grafico è simmetrico rispetto all’asse
.
- Se
la funzione è dispari e il suo grafico è simmetrico rispetto all’origine.
non è né pari né dispari: nessuna di queste simmetrie.
Per il controllo della simmetria conviene calcolare , cioè sostituire
ad
nell’espressione della funzione, e controllare a quale
delle opzioni corrisponde il risultato. La nostra funzione non ha simmetria e lo
si vede già disegnando il dominio.
Note
può avere altre simmetrie, come si vedrà nell’ultimo esercizio
del capitolo. L’analisi di tutte le possibili simmetrie si può fare negli esercizi
in cui si parte dal grafico per analizzare le proprietà della funzione ed è
di grande aiuto perché abbrevia il lavoro.
Le intersezioni¶
Per avere punti di riferimento nel disegno la strategia più semplice è cercare
le intersezioni del grafico con gli assi. .
È meglio cercare dapprima le intersezioni con l’asse , infatti le
intersezioni con l’asse
sono i punti per i quali
e
non è sempre semplice trovare le soluzioni, che possono anche essere infinite.
Intersezioni con l’asse : nel nostro caso non esistono perché
è escluso da dominio.
Intersezioni con l’asse : le intersezioni per
corrispondono alle soluzioni di
.
Abbiamo una sola intersezione, in
.
Il segno¶
Non sappiamo se a sinistra dell’intersezione il grafico sia nel primo
o nel quarto quadrante e non sappiamo se intersecando l’asse orizzontale il
grafico cambi o no quadrante. Per questo motivo cerchiamo di risolvere .
Se la ricerca delle soluzioni è particolarmente complessa, per le funzioni continue
possiamo anche evitarla: basterà calcolare il valore di in punto fra due
intersezioni consecutive, infatti fra due zeri consecutivi una funzione continua
ha segno costante, altrimenti vi sarebbero ulteriori intersezioni fra i due punti .
Ma il nostro è un caso semplice: dato che il dominio è per , la funzione
ha lo stesso segno del logaritmo, cioè
Cancelliamo dal disegno le regioni del piano non attraversate dal grafico.
Gli asintoti¶
Se nel dominio vi sono punti di frontiera che sono anche di accumulazione e se vi
sono punti infiniti, occorre capire il comportamento asintotico di .
Nel notro caso occorre calcolare
e
.
Abbiamo quindi un asintoto vertivale in e uno orizzontale in
. Nel grafico aggiungiamo due piccoli tratti a sinistra in basso e
a destra appena sopra l’asse orizzontle, per ricordarci dove passerà il disegno.
L’andamento¶
Il segno della derivata prima ci dirà se e in quali intervalli la funzione è crescente o decrescente; se si annulla cercheremo di capire in quali punti vi può essere un massimo o un minimo o un flesso orizzontale.
si annulla per .
Che ci fosse un punto a tangente orizzontale era prevedibile, dopo lo studio del
comportamento asintotico, e resta solo da capire se e dove
è crescente o decrescente, anche se ormai si intuisce, dato che nel dominio è continua.
In generale può essere molto complicato risolvere e allora
è consigliabile procedere come indicato per
, sempre che la
derivata sia continua.
Nel nostro caso la disequazione è semplice:
La funzione raggiunge quindi in il suo massimo (assoluto), con il valore
e poi decresce adagiandosi progressivamente
sull’asse
.
La concavità e i flessi¶
È evidente che approssimandosi al massimo ha la concavità rivolta
verso il basso e che per adagiarsi sull’asse orizzontale subisce un cambio di concavità.
Analizziamo i dettagli con lo studio della derivata seconda.
che si annulla per .
Il segno della derivata seconda, se la sua espressione è complicata ma la derivata è continua, si può ricavare seguendo i suggerimenti analoghi visti per per il segno della funzione e della derivata prima.
Il nostro caso però è di quelli semplici:
per cui in la funzione ha un flesso ascendente,
con il valore di
.
Inoltre la derivata seconda ci conferma che
è un punto di massimo, perché
.
Le conclusioni sul flesso ascendente si possono verificare anche con la derivata terza,
perché
Nei casi complicati, in cui le equazioni
e le disequazioni associate sono troppo laboriose, ci si affida ai software che
tracciano i grafici automaticamente.
Tuttavia questi strumenti a volte non chiariscono le esatte posizioni dei punti caratteristici ed occorre comunque aiutarsi con i calcoli.
La curvatura¶
Quando il grafico è stato tracciato manualmente, resta sempre il dubbio di non avere tracciato correttamete le curve fra i punti notevoli calcolati. Cerchiamo di costruire un metodo per identificare la curvatura che il grafico corretto deve seguire in ogni punto: avremo così uno strumento di analisi e di confronto anche per le curvature disegnate dal software.
La curvatura più facile da analizzare è quella di un cerchio. Chi lo percorre
stando sulla circonferenza deve cambiare la sua direzione di un angolo pari
all’angolo spazzato dal raggio. La direzione punto per punto è data dalla direzione
della tangente e la curvatura è costante, per ogni cerchio. C’è infatti un rapporto
fisso fra l’arco di circonferenza percorso e l’angolo al centro
(misurato in radianti)
, che è dato dal raggio:
.
La curvatura è la rapidità con cui si cambia direzione percorrendo l’arco e
quindi è il rapporto fra angolo e arco, inversamente proporzionale al raggio.
La relazione vale anche per archi infinitesimi:
.
Cerchiamo ora di adattare questi risultati iniziali a grafici con curvature qualsiasi. Il procedimento generalizza e precisa quanto già visto a proposito della ricerca del cerchio osculatore di una curva, nel libro precedente.
Tracciamo in la tangente al grafico: sarà una retta inclinata di un angolo
rispetto all’orizzontale, la cui tangente goniometrica
è la derivata della funzione in
:
.
Per esempio, calcoliamo il raggio del cerchio osculatore alla parabola
nel punto
.
, cioè circa
Il calcolo non è finito, perché la derivata che abbiamo calcolato
è e non
.
è
il tratto infinitesimo di curva. Osservato al microscopio non standard, poiché
, risulta
L’angolo (in radianti) è l’arcotangente di , perciò
abbiamo:
e quindi:
Il raggio in questo modo potrebbe anche risultare negativo, dipendendo dal segno di
. Il raggio negativo indicherà la curvatura concava verso il basso, il raggio positivo indicherà la curvatura verso l’alto.
Tornando alla parabola, applicando la formula il raggio risulta
.
Quindi al suo vertice la curvatura della parabola ha un raggio di
, che corrisponde al risultato ottenuto nel primo libro.
Ora è facile disegnare il cerchio osculatore al vertice della parabola. La formula però è utile per disegnare il cerchio in qualsiasi punto della curva, purché si sappia in quale posizione fissare il centro. Vediamo come trovare la posizione del centro.
La direzione della tangente si può rappresentare tramite il versore
che punta nella direzione positiva degli assi. Le sue componenti, secondo il coseno
e il seno dell’angolo, sono
Trovate le componenti del versore tangente, calcoliamo quelle del versore
perpendicolare alla curva in quel punto. Dato che il raggio è perpendicolare
alla tangente,
punta al centro del cerchio osculatore.
Abbiamo
Trovata la direzione del centro, la sua posizione si ottiene moltiplicando le componenti del versore normale per la lunghezza del raggio.
Operate le sostituzioni e svolti i calcoli, risulta:
che sono le coordinate del centro del cerchio osculatore, relative a qualsiasi punto del grafico e per qualsiasi concavità, purché, ovviamente, la derivata seconda non si annulli. In questo caso non vi sarebbe nessuna concavità e il cerchio osculatore avrebbe un raggio infinito.
Applichiamo le due formule alla solita parabola, per trovare il centro
del cerchio osculatore relativo al punto di ascissa . Una volta svolti
i calcoli avremo:
Prendiamo un software di geometria interattiva (Geogebra, DrGeo, Cabri, ecc),
disegniamo la parabola e costruiamo l’animazione che al variare
di disegna il cerchio osculatore per mezzo delle formule che
calcolano i centri e i raggi.
Osservazioni su alcune curvature¶
Le stesse formule, applicate alla sinusode danno luogo al disegno seguente
Il disegno mostra raggi verticali di lunghezza unitaria per .
Infatti i calcoli ce lo confermano:
dove usiamo il valore assoluto per non dover dipendere dal tipo di concavità
positiva o negativa segnalata dalla derivata seconda. Per
si ha
Il raggio di curvatura per la sinusoide è minimo quando vale ,
in corrispondenza dei massimi e dei minimi della funzione, dove c’è il
massimo di curvatura. Si possono allora trovare i massimi di curvatura di un grafico
attraverso la ricerca del cerchio osculatore di raggio minimo.
Per esempio, relativamente al grafico del logaritmo, abbiamo:
La funzione calcolata per il logaritmo è un infinito positivo
sia in
sia in
, quindi è garantita l’esistenza di
un minimo assoluto, che possiamo trovare annullando la derivata prima:
.
Svolgendo i calcoli, si trova che deve essere
che, inserito nella formula del raggio, fornisce il valore di circa
.
Concludiamo che il calcolo differenziale fornisce anche un metodo che consente di calcolare la curvatura dei grafici delle funzioni.
Un grafico di funzione al computer¶
Tracciando il grafico di una funzione con il computer il risultato è immediato e tutte le informazioni utili sembrano già disponibili. In realtà non tutte sono evidenti, e occorre qualche calcolo per ricavarle. Vediamo un esempio
Questo è il grafico della funzione .
Periodicità e simmetrie¶
Alcune proprietà della funzione si cominciano a vedere dopo una variazione di scala:
Si tratta di una funzione periodica. Era un fatto intuibile, dato che la funzione è
somma di cubi di funzioni periodiche. Il periodo è e diamo per
scontato che
sia definita su tutto l’asse reale.
Note
Bisogna però osservare che la periodicità va sempre verificata: non è detto che la somma di due funzioni periodiche, con lo stesso periodo, sia una funzione periodica e, se lo è, che abbia periodo uguale a quello delle funzioni.
Il grafico ha altre simmetrie, oltre alle simmetrie per traslazione, secondo i
vettori multipli di , dovute alla sua periodicità.
Infatti i punti di intersezione con l’asse delle ascisse sono centri per
rotazioni di
, che riportano la figura su se stessa.
Inoltre le rette verticali passanti per i minimi della parte superiore e per i
massimi di quella inferiore sono assi di simmetria per il grafico. E poi l’asse
orizzontale è asse di una glisso-simmetria fra la parte positiva e quella negativa del grafico.
Intersezioni¶
Per ,
, quindi la prima intersezione con gli assi è in
. Per le intersezioni con l’asse
bisogna risolvere
.
La prima intersezione con l’asse orizzontale è in ,
le successive e le precedenti seguono il variare di
. Le intersezioni
più vicine a
si hanno per
e sono
e
.
Data la simmetria centrale del grafico, basta analizzarlo nell’intervallo
che rappresenta mezzo intervallo di periodicità. Poi si estenderanno le conclusioni
all’altra metà periodo.
In aggiunta, si vede che gli assi verticali di simmetria
si trovano in , quindi si può ancora
dimezzare l’intervallo su cui studiare la funzione, che si riduce a
.
Massimi e minimi¶
Osservando il grafico, ci aspettiamo che la derivata si annulli in
e per quest’ultimo
punto sembra ci sia un massimo assoluto.
Nell’intervallo che consideriamo si annulla
per
e per
. Le soluzioni sono dunque
, come previsto.
I valori corrispondenti della funzione sono
e
. Quest’ultimo valore poteva essere ricavato
direttamente dal grafico, sulla base della simmetria assiale della curva.
Viste le simmetrie, abbiamo che nell’intervallo
cresce da
fino a
(massimo assoluto), poi decresce fino al minimo relativo nel punto
, poi cresce fino ad
un nuovo massimo assoluto in
e infine
decresce.
L’analisi può essere estesa ad un intero periodo, mediante una simmetria
centrale, di centro . L’intervallo diventa
allora
e nella metà
periodo che ora si aggiunge a sinistra rispetto a prima, i minimi assoluti negativi
sono i corrispondenti dei massimi positivi già calcolati e il massimo relativo
negativo è il corrispondente del minimo relativo già visto.
Analisi della derivata prima¶
Aggiungendo al grafico della funzione anche quello di ,
vediamo che questo
- raggiunge i valori estremi in corripondenza delle intersezioni per cui
, che sono i punti di massima pendenza, in valore assoluto
- interseca sei volte l’asse orizzontale, in corrispondenza dei massimi e dei
minimi di
.
Se cambia segno ripetutamente vuol dire che
cambia
concavità e questo preannuncia la presenza di flessi.
Analisi della derivata seconda¶
La derivata seconda è
.
Cerchiamo gli zeri di questa funzione.
Il prodotto si azzera, nell’intervallo , se
Anche la derivata seconda si azzera sei volte in un periodo, cambiando segno.
La funzione quindi cambia concavità. In un periodo ci sono due punti di flesso dove
e altri quattro, a due a due simmetrici rispetto al minimo
positivo e al massimo negativo.
Curvatura¶
L’espressione della curvatura
è così complicata che è meglio che sia Derive a calcolarla.
Chiediamo direttamente al software di tracciare il grafico della curvatura insieme a quello della funzione.
Gli zeri dell’espressione della curvatura sono gli stessi della derivata seconda, sono i punti a curvatura nulla, cioè i tratti rettilinei del grafico della funzione e corrispondono ai punti di flesso. La curvatura è massima, in valore assoluto, nei punti di massimo e di minimo della funzione, dove il raggio del cerchio osculatore è minimo.
Note
Perché diciamo che nei punti di flesso il grafico ha un tratto
rettilineo? Tutto dipende dai punti di contatto fra il grafico e la tangente.
In genere la tangente in un punto al grafico della funzione si
distanzia ben presto dalla funzione: nei punti
le differenze
fra i valori della tangente e quelli della funzione sono infinitesimi di ordine
superiore a
, in genere dell’ordine di
.
Nei punti di flesso, però, queste differenze sono dell’ordine di
,
quindi il contatto è molto più alto perché nella monade di
nemmeno
un microscopio che vede gli infinitesimi dell’ordine di
riesce distinguere queste distanze.
Confrontiamo il grafico della derivata seconda con quello della curvatura.
I due grafici si distinguono: i punti di massima curvatura non sono quelli in cui è massima la derivata seconda. Infatti la derivata seconda dà una misura della concavità, non della curvatura.
Riassunto¶
- Le funzioni iperreali hanno per dominio intervalli di numeri che sono estensione di intervalli reali. Gli intervalli estesi contengono numeri standard e non standard (infiniti, infinitesimi) e mantengono le stesse proprietà date per gli intervalli reali.
- Rispetto al dominio, un punto può essere interno, esterno o di frontiera. Si dice interno all’estensione di un intervallo, il punto la cui monade vi è inclusa. Si dice di frontiera il punto nella cui monade vi sono sia punti interni che punti esterni.
- Si dice isolato il punto di frontiera per il quale l’intersezione fra la sua monade e l’intervallo è data solo dal punto stesso. Se invece oltre al punto, nell’intersezione cadono altri punti della monade, allora il punto si dice di accumulazione.
- Il procedimento che porta a disegnare manualmente nel modo più preciso il grafico di una funzione, si chiama studio di funzione. Consiste dei seguenti passi: 1. Definizione del dominio; 2. Analisi delle simmetrie; 3. Calcolo delle intersezioni con gli assi; 3. Studio del segno delle funzione; 5. Studio del comportamento asintotico. 6. Studio dell’andamento e ricerca dei massimi e dei minimi; 7. Analisi delle concavità e ricerca dei punti di flesso.
- Per completare le informazioni precedenti è possibile approfondire il lavoro con l’analisi delle curvature del grafico. Attraverso opportuni calcoli è anche possibile calcolare il raggio e il centro del cerchio osculatore ad un punto qualsiasi del grafico.
- I software dedicati sono utili e potenti strumenti per il tracciamento dei grafici. Non sempre consentono di definire con precisione i punti notevoli e quindi spesso il loro lavoro deve essere integrato con gli strumenti del calcolo differenziale.
Esercizi¶
- Definisci il punto
come punto di accumulazione sinistro nei tre casi in cui questa definizione ha senso.
- Ripercorri tutte le fasi dell’esercizio guida, esplicitando anche i calcoli sottintesi.
- Applica le formule per il calcolo della curvatura al grafico della sinusoide, di cui puoi osservare il disegno nel testo.
- Svolgi i calcoli indicati dal testo per trovare il raggio di massima curvatura della funzione logaritmo e applica al caso del logaritmo le formule per trovare le coordinate del centro.
Il calcolo integrale¶
Introduzione¶
Questo testo è costruito partendo dal libro di Giorgio Goldoni “Il calcolo delle somme e il calcolo integrale ”.
Sito di riferimento:
Pagina facebook: <www.facebook.com/pages/Il-professor-Apotema/344320422244703>
I libri del prof. Apotema: <ilmiolibro.kataweb.it/community.asp?id=104013>